Blow-UpLa grande famiglia dell’uomo

Da oltre un secolo e mezzo la foto di famiglia è il più fedele autoritratto dell'umanità. Attraverso migliaia di immagini spesso raccolte in volumi rilegati in pelle o incorniciate e appese alle pa...

Da oltre un secolo e mezzo la foto di famiglia è il più fedele autoritratto dell’umanità.
Attraverso migliaia di immagini spesso raccolte in volumi rilegati in pelle o incorniciate e appese alle pareti domestiche, oppure collocate su mensole o tavolini, ma anche riposte magari alla rinfusa dentro cassettoni o bauli dimenticati in soffitta, ogni famiglia di questo mondo provvede a regalarsi un corredo portatile che poi si tramanderà di padre in figlio, assicurando alla propria storia privata il senso della continuità, della compattezza e dell’identità.

Molti considerano e usano queste immagini sia come autentici documenti storici contenenti informazioni sull’epoca in cui hanno vissuto e continuano a vivere, sia come album dei ricordi e della memoria. Questa seconda funzione prevede che esse vengano organizzano in successioni di solito cronologiche di eventi assai significativi ma piuttosto omologati. Certe tappe biografiche ritenute fondamentali sono comuni un po’ a tutti. Tutti, infatti, abbiamo vissuto la nascita di un figlio, la festa di un matrimonio, il rito religioso della prima comunione e della cresima, il giorno della laurea, i piccoli successi sportivi, la cena con i compagni di scuola, le gite nelle città d’arte, le vacanze al mare; come del resto tutti abbiamo fotografato il gatto mammone che fa le fusa o il cane fedele che riporta il bastone.
Riguardarle, lo sappiamo benissimo, significa tornare ogni volta a emozionarsi, a farsi pervadere da quel dolce senso di nostalgia che proviamo quando tentiamo di recuperare ciò che invece sembra sfuggire per sempre.
Non lasciano spazio ad ampie discussioni su chi siamo, ma ci concedono un tempo extra per ripensare chi eravamo. Così, all’istante, ci vengono in mente particolari dimenticati, suggestioni inattese, parole e pensieri legati a filo doppio con l’episodio dello scatto. E, spontaneamente, sorge la fatidica domanda: “ti ricordi?” E sebbene sembriamo rivolgerla a chi ci è vicino, in realtà la stiamo ripetendo a noi stessi.

Le fotografie familiari corrispondono a un bisogno psicologico universalmente condiviso e forse anche per questo, come dicevamo prima, finiscono per adeguarsi ai modelli dominanti. La loro inesauribile varietà è sovente regolata da una sorta di “canone ristretto” accessibile a tutti e facilmente consumabile, all’inizio veicolato attraverso le pagine dei rotocalchi e ora inculcato mediante le soap televisive e i reality-show. Un canone doppio: mitico-aristocratico (la dinastia “regnante”, o la famiglia vip e le loro gesta) e democratico-popolare (la case sorridenti delle pubblicità con le famigliole piccolo-borghesi).

Come accade ai suoi paradigmi mediatici anche l’immagine della famiglia reale nella vita quotidiana è mobile, mutante, soggetta ai corsi e ricorsi storici, nonché alle influenze del marketing. L’importante, però, è annotare con puntualità le singole fasi del cambiamento, lasciarne sempre una traccia, una memoria indelebile da riporre in una teca, a condizione però, e questo è l’aspetto più affascinante, di non attenersi a una documentazione neutrale e oggettiva, bensì di renderla variabile, paradossalmente relativa, in cui a prevalere siano i risvolti personali, le peculiarità, e perché no le differenze, gli errori, i ritocchi, i camuffamenti, le autocensure.
Quindi non l’adesione meccanica e speculare al modello, ma la devianza, legittima e, anzi, assolutamente indispensabile. Al punto che la tanto vituperata “antiestetica”, se serve a rimuovere gli aspetti scontati e a impedire la deriva nell’anonimato, diventa un valore auspicabile.

Dunque, guai a spiegare l’immenso catalogo visivo di Awkward Family Photos solo in funzione del suo carattere ironico-goliardico, vedendolo come una panoramica di fenomeni da baraccone da irridere e casomai esorcizzare come pericolose brutture compiute da un fotografo dilettante e maldestro. Al contrario esso va interpretato come la coronazione ufficiale del sogno della fotografia di tutti i tempi: collezionare, musealizzare l’umanità tutta, ricostruire la grande “Famiglia dell’uomo”. Questo archivio online, in un certo senso, è una delle imprese più riuscite. Come suggeriva argutamente Michele Smargiassi qualche anno fa, le foto familiari piuttosto che produrre documenti erigono monumenti in cui i piccoli protagonisti della storia culturale di una nazione scolpiscono, a memoria futura, il loro volto intrattabile e inimitabile e lo fanno con la libertà creativa dei grandi artisti, esercitando il loro sacrosanto diritto di dimenticare le regole. L’infrazione “estetica” è indice di tale eccezionalità e forma di prevenzione dalla pressione asfissiante che cade dall’alto.
L’istantanea di famiglia è intensità e trasparenza pure, senza filtri e senza mediazioni, preconcetti che invece dominano la cosiddetta fotografia d’autore. Ben venga allora la rinuncia all’ideologia della bellezza e della perfezione, perché la foto non va ammirata ma soltanto amata, proprio come una madre che quando ama un figlio non si preoccupa di pettinargli i capelli ma soltanto di guardarlo diritto negli occhi.

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