Luci e ombre. Come sempre. Solo che stavolta le seconde son più delle prime. Perché, è vero, ci sono stati segnali positivi negli ultimi anni a livello economico in quella parte di Cisgiordania affidata al governo dell’Autorità nazionale palestinese. Ma è anche vero che tutto questo non cancella le (tante) contraddizioni e i (troppi) punti deboli dell’area. Tradotto: il boom economico tanto annunciato non c’è stato.
A scriverlo, nero su bianco, è l’ultimo rapporto dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi. Che evidenzia il rincaro dei prezzi, la perdita del potere d’acquisto di molti palestinesi, i numeri negativi sul fronte occupazionale. E dove, nemmeno tanto velatamente, si denuncia il mantenimento di limitazioni dovute all’occupazione militare israeliana e alle colonie. Per non parlare della situazione dei rifugiati.
Nel secondo semestre del 2010, scrive il dossier, «il tasso d’incremento della disoccupazione è tornato a superare quello dell’offerta di nuovi posti di lavoro». Nel complesso, «l’economia palestinese continua a dipendere in notevole misura dal flusso degli aiuti stranieri e di qualche rimessa».
Il rapporto non nega i tanti progressi compiuti dall’Anp del premier Salam Fayyad. Un uomo con qualche scheletro, ma che negli ultimi anni, grazie alle riforme economiche e alla lotta alla corruzione, è diventato un personaggio gradito all’Occidente. Però resta molto da fare.
Nel documento, i relatori non hanno dimenticato le parole del premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Il quale, a più riprese, aveva esaltato la fioritura dell’economia cisgiordana, grazie anche all’eliminazione di alcuni check-point. Un promemoria che, in realtà, è anche una smentita. Perché, ha detto il portavoce dell’Unrwa, Chris Gunness, «la realtà dei fatti dimostra, al contrario, che proprio militare, insieme alla presenza degl’insediamenti ebraici, delle infrastrutture a essi riservate, della violenza dei coloni e degli ostacoli frapposti dalla barriera di separazione, continua a incidere negativamente sulle prospettive dei palestinesi in generale e segnatamente dei profughi».