Chinua Achebe, Il crollo, Edizioni e/o, 1976
Achebe è uno dei più importanti scrittori africani in lingua inglese, insignito di innumerevoli premi letterari oltre che di lauree honoris causa da più di 30 università di diversi paesi. Questo suo romanzo d’esordio, pubblicato nel 1958 , è una pietra miliare nella letteratura africana . Tradotto in 50 lingue è una lettura consigliata nelle scuole di mezzo mondo. Non sapevo tutto questo quando mi sono accostata casualmente a Things fall apart (il titolo originale). Achebe narra la storia di Okonkwo, un self made man e uomo di potere, diremo oggi, in un piccolo villaggio africano alla fine dell’Ottocento: Umuofia, nella Nigeria orientale, abitata dal gruppo tribale degli Igbo. Leggendo sono rimasta affascinata dalla capacità dello scrittore di descrivere quel micro-cosmo da un punto di vista inusuale, almeno all’epoca in cui scrisse Il crollo: quello della popolazione e della cultura locali – una cultura che ai rappresentanti delle forze coloniali che si confrontarono con essa doveva apparire repellente, come del resto appare ancora adesso inspiegabile in molti suoi tratti a noi lettori occidentali.
Achebe non scrive un trattato di etnologia, ma semplicemente racconta, in maniera solo apparentemente semplice ed elementare, diversi episodi della vita di Okonkwo. Ricorrendo spesso all’ inesauribile messe di proverbi Igbo e alle storie orali tramandate attraverso le generazioni, descrive una società tribale articolata e ben strutturata che, pur essendo a volte brutalmente violenta e dominata dalla superstizione , si fondava su un sistema complesso di tradizioni, usanze, costumi e, soprattutto, valori , che ne costituivano il collante . In sostanza, secondo Achebe, gli Igbo di fine Ottocento avevano sviluppato una cultura propria, non meno forte di quella degli europei che sarebbero arrivati di lì a poco. Entrano in scena i rappresentanti coloniali e quel mondo, di cui Okonkwo è ostinato difensore, crolla. Il punto è che quando due sistemi così differenti si contendono il potere, la storia finisce ineluttabilmente in tragedia.
Achebe, figlio di un pastore protestante e nipote di uno dei primi nigeriani convertiti al cristianesimo, non giudica. Non parteggia per l’una o l’altra cultura. Più che criticare gli europei, appare piuttosto condannare il comportamento dei neri che si misero al loro servizio diventando gli zelanti esecutori di una politica di annientamento culturale.
Proprio per rappresentare questa equidistanza di pensiero, Achebe dipinge un protagonista che non suscita particolare empatia : Okonkwo, orfano di madre e con un padre pigro e pieno di debiti, ha lottato fin da piccolo per sopravvivere, giurando a se stesso di risalire la china fino ai vertici del clan e di buttarsi alle spalle la pessima reputazione del padre . Ne è scaturito un uomo arrabbiato, duro con se stesso e con i familiari. Un campione di lotta e un guerriero apparentemente forte, in realtà insicuro e ossessionato dal fantasma del padre. La tragedia sociale dell’estinzione della cultura precoloniale degli Igbo si intreccia con la tragedia personale di quest’uomo, che di quella cultura è il simbolo.
Il crollo è stato pubblicato poco prima che la Nigeria raggiungesse l’indipendenza, quando il paese era di nuovo alla vigilia di grandi e imperscrutabili cambiamenti, anche culturali. Ed Achebe aveva in mente soprattutto la propria gente quando lo scrisse. “ Mi basterebbe che i miei romanzi ( specie quelli ambientati nel passato) insegnassero ai lettori che la loro storia – con tutti i suoi difetti – non è stata una lunga notte di pratiche selvagge da cui gli europei li hanno salvati in nome di Dio” , osserva in una delle sue interviste.