Sposarsi è davvero un’impresa, soprattutto di questi tempi! Proporlo alla persona amata, conoscendo i rischi e le difficoltà che la decisione comporta, potrebbe essere ancora più difficile. Figuratevi, poi, cosa succederebbe se lei rispondesse con un secco “no”.
Beh, forse qualcuno potrebbe dire, meglio tardi che mai! Però provate a immaginare quale drammatica, frustrante sensazione di sconfitta assalirebbe la povera vittima del cocente rifiuto. Certamente nessuno vorrebbe trovarsi nei suoi panni.
E siccome, in momenti del genere, l’ipotesi del fallimento è sempre in agguato, l’ansia per l’agognata risposta si sovraccarica di tensioni pericolose che possono inibire il pretendente privandolo della capacità di formulare la famosa domanda: “mi vuoi sposare?”
Oggigiorno spopolano sul web gli wedding planners, i guru del matrimonio ideale, persone che passano il tempo a dispensare consigli su cosa e su come fare per convolare a nozze. Ad esempio, per quanto riguarda la proposta fatidica suggeriscono di puntare tutto sulla “strategia ad effetto”. Affinché il desiderio continui a essere “desiderabile” e non si stemperi nella noia della routine, il pretendente dovrà riuscire a emozionare il partner. Qualsiasi mezzo sarà buono, purché faccia leva sulla forza della creatività e dell’ingegno.
Tali sedicenti esperti sciorinano lunghi elenchi di invenzioni, trucchi, diavolerie, appuntamenti bizzarri, cene fantasiose, ogni genere di iniziativa che sfiori l’impossibile, ma alla fine, inspiegabilmente, si trovano tutti d’accordo nel sostenere che il colpo di scena non sia l’unico metodo per raggiungere il traguardo sognato e che forse sarebbe meglio fare l’esatto contrario: affidarsi cioè alla spontaneità, dare voce al cuore, restare, in una parola, autentici, dato che “amor omnia vincit” e niente al mondo potrà mai smentirlo.
Ma come conciliare posizioni tanto divergenti ? Tutta la questione, a ben guardare, ruota intorno a un paradosso all’apparenza insolubile, causa della crisi d’identità che colpisce il pretendente: infatti da una parte egli è chiamato a rimanere se stesso, ma da un’altra è invitato a trasformarsi in qualcun altro.
Un simile “sdoppiamento” si è di recente verificato a Palm Springs in California, durante una proposta di matrimonio peraltro molto originale.
Il nostro “lui” (l’anagrafe non è importante), perfetto seguace della “strategia ad effetto”, ha pensato di chiedere la mano della nostra “lei”, sua presunta futura moglie, in un posto veramente insolito: la cabina per le fototessere.
Naturalmente è stata una sorpresa col “botto”! Chissà, infatti, quali e quanti pensieri saranno frullati nella testa dell’ignara compagna, trascinata a sua insaputa in una photomatic, senza il bisogno di rinnovare i documenti d’identità. Chissà cosa avrà pensato potesse succederle, rinchiusa in quello stanzino stretto e semibuio da cui era impossibile fuggire? Magari qualcosa di misterioso, proibito, trasgressivo, e comunque del tutto impossibile da prevedere. Ma invece…
Una volta entrati, con gesto furtivo, nell’angusta cabina, il suo audace spasimante ha tirato la tendina, ha introdotto la moneta nell’apposita fessura e… voilà! è iniziato lo spettacolo più bello della loro vita.
Non appena dalla sua bocca sono affiorate le classiche parole di rito, quell’iniziale brivido di sospetto e anche un po’ di paura è sparito del tutto. Poi, quando “lui” le ha offerto l’anello ancora contenuto nel suo splendido cofanetto da regalo, come si fa con i gioielli preziosi, la commozione ha toccato l’apice. E così, come in preda a uno stato di euforia, gioia e meraviglia, ogni desiderio del suo amante è per “lei” diventato un ordine, ogni sua cortesia un gesto da ricambiare con piacere e complicità.
Insomma, una perfetta “corrispondenza di amorosi sensi” celebrata di fronte allo specchio. Unico testimone, muto e impassibile, dell’evento, al quale i due innamorati hanno confidato tutti i loro sogni e segreti, hanno consacrato i loro sentimenti. Sì proprio in quel piccolo, semplice specchietto, da cui occhieggia l’obiettivo fotografico, dirimpetto alla postazione del cliente, hanno proiettato in un meraviglioso gioco drammaturgico la favola dell’amore eterno.
Quanto è successo, al di là dell’aneddoto prematrimoniale, è un esempio direi paradigmatico della doppia natura posseduta dalla fotografia, che la cabina photomatic riesce a evidenziare in maniera sorprendente.
L’effetto spiazzante provocato dalla situazione inconsueta, messa in scena proprio come un micro-sketch teatrale dal nostro “lui”, non si è limitato a sollecitare l’attenzione della nostra “lei”, ma ne ha favorito il coinvolgimento e la totale partecipazione emotiva. Anche la ragazza davanti allo specchio ha liberato il suo desiderio nascosto all’unisono con il fidanzato.
La cabina automatica che generalmente fornisce certificati d’identità socialmente utili e riconoscibili, ossia immagini di ciò che noi siamo davanti agli occhi degli altri, stavolta è stata impiegata per certificare l’opposto, per dimostrare cioè l’esistenza di altre identità nascoste, imprevedibili, socialmente irrilevanti ma appassionanti, romantiche, profondamente umane: vite private, interiori che si manifestano solo lontano dagli sguardi indiscreti e che però, al centro di quel palcoscenico invisibile, esibiscono la stessa spontaneità, la stessa carica di verità e inconfutabilità di quelle pubbliche, burocratiche, approvate dalla legge e dalle istituzioni. La foto assegna un “carisma di realtà” a tutto ciò che registra, letteralmente “realizza”, ossia convince dell’esistenza di ciò che fa vedere.
Quale miglior modo allora per confessare a se stessi la propria volontà di coronare un progetto d’amore, se non quello di raccontarselo con una strip di fototessere in grado di conferire, come abbiamo detto, una patente di autenticità, di normalità al gesto più pazzo e incredibile ma intimamente sincero?
La cabina automatica sovrappone lo “specchio del mondo”, la descrizione scientifica, oggettiva e neutrale delle nostre apparenze, allo “specchio dell’io”, la presentazione di chi vorremo essere, di chi immaginiamo di essere per sempre, ma che purtroppo possiamo soltanto divenire per pochi attimi; quei piccoli scatti che un giorno potremo ritrovare nel fondo dei nostri ricordi.