Trasparenza e Merito. L'università che vogliamoOmofobia. Se questa è una persona

Qualche giorno fa, per la seconda volta nel giro di due anni, il parlamento italiano, accogliendo le pregiudiziali di incostituzionalità presentate da Udc, Pdl e Lega, ha fermato la legge che inas...

Qualche giorno fa, per la seconda volta nel giro di due anni, il parlamento italiano, accogliendo le pregiudiziali di incostituzionalità presentate da Udc, Pdl e Lega, ha fermato la legge che inasprisce le pene nei confronti dell’omofobia. Si tratta di un provvedimento in contrasto con lo stesso accoglimento da parte italiana dei punti contro la discriminazione sessuale presenti nel trattato di Lisbona.

La verità è che, al di là delle fumose affermazioni di principio, il mancato rispetto della diversità, fomentato da dichiarazioni di esponenti politici di questo governo, di questa maggioranza, e adesso anche attraverso leggi in parlamento, è l’ennesimo campanello di allarme, che si va a sommare all’arretratezza tutta italiana su temi come testamento biologico, diritti dell’infanzia, delle donne, dei migranti, sul più generale versante dei diritti civili in Italia.

Non molti ricorderanno la vicenda del docente Aldo Braibanti che, nel lontano 1968, fu processato per plagio di minori, ma in realtà condannato per la sua omosessualità pubblicamente dichiarata. La stessa condanna “morale” veniva riservata, in quegli anni, allo scrittore Pier Paolo Pasolini. E’ evidente che alla fine degli anni sessanta esisteva ancora in Italia, da un punto di vista legislativo, un divario fortissimo nei confronti di altri paesi più avanzati sul diritto di famiglia e sul diritto della persona. Basti pensare che nel 1956 non fu approvata per un soffio addirittura una legge che configurava l’omosessualità come un reato punibile fino a due anni qualora la relazione fosse “notoria”. Quella incredibile legge non entrò in vigore solamente perché la revisione del codice penale non ebbe luogo. Però già nel 1960 venne approvata una legge in materia di censura che definiva l’oscenità, in relazione alla “diversità”, in senso ancora più restrittivo di quanto già non lo fosse. Era il segno dei tempi: le stesse coppie di conviventi e i figli illegittimi erano privi di stato giuridico, esclusi da tutta una serie di benefici che spettavano invece ai coniugi. Figuriamoci, dunque, cosa accadeva nel caso degli omosessuali.

Il punto è che all’arretratezza giuridica si sommava a quella della mentalità comune, che non aiutava certo il loro inserimento in società né aiutava quelle minoranze politiche interessate ad affrontare coraggiosamente la questione, a far sentire con forza la propria voce in parlamento e nel paese. La Chiesa esercitava la sua pressione “moralista” sulla società e sulle famiglie, a partire dall’educazione dei bambini, agli insegnamenti alle coppie in procinto di sposarsi, ma l’invito alla repressione sessuale trovava terreno fertile quando si trattava di tollerare e accettare comportamenti “diversi”, specie se provenienti da sparute minoranze quale erano allora gli omosessuali. In quel contesto di dogmatismo “familista” si inseriva la sessuofobia, e in alcuni casi addirittura il giudizio di “abominio sociale” di molti vescovi e sacerdoti nei confronti della diversità, in particolare dell’omosessualità (che pure esisteva all’interno della stessa comunità religiosa e che, invece, in tal caso, veniva ampiamente coperta e tollerata), mentre parallelamente la questione iniziava ad essere approfondita in ambito medico (allora era diffusa addirittura l’idea che l’omosessualità fosse una malattia) oltre che sociologico.

A ispirare questi comportamenti censori e intolleranti era, nel caso della chiesa (ma con un’incidenza enorme a livello governativo, attraverso la Dc) , la poca conoscenza della sfera sessuale, ma anche la sensazione che tutta una serie di dispositivi sociali e di aperture, recepite dai paesi europei del nord, potessero, in un certo senso, incrinare e aprire qualche breccia nel vincolo del sacramento del matrimonio. Il collegamento, alquanto forzato, che veniva fatto a più livelli, era che il fenomeno “deviante” si manifestasse negli ambienti più evoluti economicamente a seguito dell’edonismo e del consumismo della società moderna. Non che l’omosessualità rimanesse sommersa per colpa del giudizio intollerante della società, ma che fosse addirittura contagiosa, fomentata dalla dissoluzione dei costumi e dal mercato, oltre che dall’individualismo più sfrenato. Per fortuna, non solo alcuni importanti sociologi, psicologi, medici, sessuologi come Manganotti e Santori dimostrarono che non c’era nulla di contagioso biologicamente, ma va detto che neppure tutta la comunità religiosa si trovava su posizioni così intolleranti: basti pensare che alcuni intellettuali cattolici e dei sacerdoti come don Liggeri e don Grasso, andando oltre le reazioni moralistiche, avevano iniziato a promuovere convegni di studio e ricerche in direzione di un approfondimento serio e scientifico della questione della diversità.

E’ evidente che tutti questi condizionamenti, pressioni, interpretazioni forzate e strumentali, nel lungo periodo, dopo decenni, si sono sedimentate ed hanno contribuito a formare una opinione pubblica molto arretrata su tematiche come questa. Eppure, oggi, nel 2011, credo sia legittimo porsi questa domanda anche in Italia: è giusto escludere le persone omosessuali dal riconoscimento dei diritti fondamentali della persona?

Paesi come Stati Uniti, Spagna, Olanda, Belgio, Norvegia, Svezia, Portogallo hanno già risposto un definitivo “no” su più aspetti della questione. Rimanendo al tema recente dell’omofobia, intesa come atto violento o anche come semplice incitamento all’odio psicologico, essa è punita anche in Danimarca, Francia, Islanda, ed esistono esplicite norme antidiscriminatorie in Brasile, Australia, Canada, Israele, Sudafrica, Austria, Cipro, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Romania, Slovenia, Svizzera, Ungheria, Inghilterra, Repubblica Ceca, Serbia, Montenegro e perfino Colombia, Ecuador e Isole Fiji.

Non è solo una questione di eguaglianza e democrazia, ma anche di dignità, come chiede esplicitamente la costituzione europea e come stabilisce anche la nostra stessa costituzione italiana. Ora, alla luce di questa breve analisi storica e comparazione con gli altri paesi, non solo per una questione democratica di principio ma anche per un motivo ben più pragmatico , visto che gli omosessuali producono, consumano e pagano le tasse come tutti gli altri cittadini italiani (e gli stranieri), non è forse il caso di adeguare e aggiornare anche la nostra legislazione in modo da provare a combattere, attraverso una legge dello stato, l’odio ingiustificabile verso il diverso?

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