In un tweet di un paio di giorni fa, De Bortoli afferma che l’accordo del Congresso del 1° agosto ha dato ossigeno ai mercati, ma non ha mostrato il volto migliore dell’America. Il direttore del Corriere non poteva prevedere il tracollo dei mercati azionari di lunedì; ma un altro tema che preoccupa gli intellettuali americani viene alluso più dal medium della sua riflessione che dal suo contenuto.
In uno scambio avvenuto su Twitter lunedì scorso, il giornalista del New York Times Brian Stelter sostiene che i social media abbiano influenzato il conseguimento dell’accordo sul debito pubblico. In particolare, la piattaforma decisiva sarebbe stata proprio Twitter, e la fonte della notizia sarebbe il direttore della comunicazione della Casa Bianca, Dan Pfeiffer. Obama aveva chiesto ai cittadini di scrivere ai loro deputati per forzarli a cercare un’intesa; su Twitter i messaggi che tematizzano la questione del #debtceiling sono circa 200 mila, ma quasi un quarto del totale è stato scambiato nell’ultimo mese. Mashable ha raccolto un campione della comunicazione che è avvenuta negli USA durante la concitazione dell’ultimo fine settimana: gli autori chiedono conto ai rappresentanti del Congresso e al presidente della loro strategia nei confronti del Paese, e soprattutto dei progetti politici che sono sottesi alle manovre della trattativa. Anche la richiesta di Obama di procedere ad un fuoco di richieste tramite Twitter viene sottoposto a critica: lo spam tramite i social media non può prendere il posto di una visione e di una manovra politica a tutto tondo.
In America gli utenti attivi di Twitter sono stati circa 40 milioni a giugno, contro i circa 2 milioni del panorama italiano. Ma sono le proprietà socio-demografiche di questo segmento del pubblico dei social media a sollecitare le attenzioni dei politici: circa un quarto degli utenti vanta un reddito superiore a 75 mila dollari all’anno, l’84% ha una formazione universitaria o superiore, un terzo ha più di 44 anni. Dal 6 luglio la Casa Bianca ha inaugurato un servizio di risposta diretta a tutti i cittadini che intendono sottoporre delle domande sulla crisi economica tramite Twitter. Le interrogazioni devono essere accompagnate dal tag @townhall, o da #AskObama. Questa decisione corrisponde ad un modo d’uso della piattaforma tecnologica e ad una cultura politica che non conoscono paralleli in Italia. Il presidente americano conta più di 9 milioni di followers, e l’operazione per la conquista del compromesso sul debito pubblico è costata la perdita 36 mila contatti. La Casa Bianca vanta oltre 2 milioni di followers, mentre l’espressione ufficiale del governo italiano, GovBerlusconi, supera di poco i 1800.
Il focus della comunicazione americana su Twitter è il dibattito, non l’individuazione di un canale gratuito su cui appendere i link dei comunicati stampa che passano attraverso altri canali. Per questo è interessante per i cittadini d’oltreoceano seguire i profili delle istituzioni e dei politici. Le analisi dei sociologi americani si sono concentrate con numerosi articoli negli ultimi anni sul comportamento degli utenti di Twitter, in relazione alle conseguenze ideologiche del loro coinvolgimento nella comunicazione politica. Un saggio pubblicato il mese scorso dall’Indiana University cerca di verificare se l’interazione tra gli utenti sul social medium determini una maggiore polarizzazione verso l’estremità dell’antagonismo ideologico, o se conduca verso una migliore comprensione reciproca. Lo studio accredita Internet come la fonte di informazioni politiche per il 44% degli americani adulti, e sostiene che almeno il 20%degli elettori contribuisca in modo attivo al dibattito on-line sulle questioni pubbliche.
I ricercatori sottolineano che gli effetti della partecipazione seguono direzioni opposte secondo il tipo di interazione seguito su Twitter. L’operazione di retweet produce due cluster contrapposti, in cui non avvengono quasi scambi tra repubblicani e democratici: ciascuna delle due fazioni rilancia quasi esclusivamente i messaggi della proprio orientamento ideologico. Al contrario, le menzioni generano una fusione intensa tra le due parti in conflitto.
In altre parole, la situazione si può riassumere in questo modo: quando ci si limita a diffondere un messaggio preconfezionato da altri, si estremizza la faziosità e la semplice riproduzione di un contenuto che si assume per buono. Quando invece si cita un altro messaggio, per far seguire il proprio commento o la propria critica, l’interazione tra le parti cresce e ne beneficia anche l’ascolto e la comprensione.
Bella scoperta, diremmo noi. Non serviva uno studio su 250 mila tweet e su svariate decine di hashtag per sapere che per criticare qualcuno bisogna almeno leggerlo, e che questo sforzo può produrre una comprensione reciproca motivata che resta latitante quando ci si limita a replicare il messaggio di qualcun altro. Ma questa esplorazione sembra in realtà avere più da insegnare a noi che agli americani. Da noi i politici per lo più non si prendono nemmeno il disturbo di inserire gli hashtag per definire l’argomento della loro comunicazione. Usano Twitter per dichiarazioni apodittiche e l’inserimento di link ad altri comunicati. Di dialogo non si parla nemmeno, l’unica interazione possibile è il retweet. Non è un problema di mancata conoscenza del mezzo informatico, è un problema di cultura politica. Da noi la politica va solo verso la polarizzazione e lo scontro: per riprendere De Bortoli, Twitter non mostra il brutto volto dell’America, ma quello peggiore dell’Italia.
La riduzione dei 36 mila followers subita alla fine di luglio da Obama viene vissuta con preoccupazione dal suo team di consiglieri in vista delle elezioni del 2012, ma quasi non si nota nel cumulo complessivo dei suoi contatti. In Italia avrebbe dimezzato il seguito del politico di maggiore successo su Twitter, Vendola, azzerato quello di Bersani, scavato una galleria verso l’Australia per tutto il panorama politico di centro-destra. Non credo che questa notizia susciterà il loro spavento. Peggio per tutti noi.