Google e gli altriFacebook: sotto la Timeline, il confessionale

Nei giorni in cui si scopre che il Ministero dell’Istruzione ha realizzato un’infrastruttura tecnologica gigantesca come il tunnel che collega Ginevra con il Gran Sasso, gli sviluppi strategici e t...

Nei giorni in cui si scopre che il Ministero dell’Istruzione ha realizzato un’infrastruttura tecnologica gigantesca come il tunnel che collega Ginevra con il Gran Sasso, gli sviluppi strategici e tecnologici di società come Google e Facebook appaiono come inezie da provinciali. Eppure, nonostante l’eccezionale primato dell’ingegneria italiana, credo valga ancora la pena occuparsi di argomenti marginali come la ristrutturazione dei servizi per gli utenti pubblicata nei giorni scorsi da Facebook, dal momento che la piattaforma del social network ha superato gli 800 milioni di iscritti, e che anche in Italia rappresenta ciò che è stato definito con una metafora “il sistema operativo di internet”. Secondo Google gli utenti unici di Facebook nella Penisola sono circa 26 milioni, con una sovrapposizione quasi completa con il numero di coloro che hanno un accesso alla Rete: per molti Internet e Facebook sono quasi sinonimi. La durata media della visita è di 25 minuti, le visite in un mese sono oltre 1 miliardo, ogni utente torna in media 13 volte al mese; meno del 20% del pubblico è laureato, circa il 50% guadagna meno di 18 mila euro all’anno, due terzi del totale hanno tra 25 e 44 anni, il 4% ha meno di 17 anni – esattamente quanti coloro che hanno più di 55 anni.

Secondo alcuni critici (americani) le novità proposte questo mese dalla piattaforma di Zuckerberg non sono solo la risposta alla sfida lanciata da Google+, ma il tentativo di reazione ad una crisi che sta investendo l’identità stessa del servizio e il suo rapporto con il pubblico. Secondo Mike Elgan la storia, la fortuna e la “personalità” di Facebook ricalcano quelle che sono state di Yahoo!: ciò che li accomuna è il destino di aver offerto agli utenti Internet esattamente ciò di cui avevano necessità nel momento in cui si è prodotto questo bisogno, senza aver inventato nulla di nuovo rispetto a chi li ha preceduti o a chi è arrivato dopo di loro. Le due piattaforme sarebbero l’effetto di un matrimonio ben riuscito tra caso e abilità. In entrambi i casi però l’assenza di un disegno strategico definito potrebbe sottrarre il favore che le coincidenze hanno regalato in un primo momento. Per Yahoo! la deriva verso l’incapacità di stabilire un profilo identitario chiaro si è già compiuta: la cacciata del CEO Carol Bartz è il riconoscimento del precipizio in una condizione paludosa senza chiare vie di uscita. Per Facebook la minaccia comincia invece a presentarsi proprio in questi mesi, e i sintomi si manifestano nel calo di consensi registrato nei paesi con maggiore tradizione digitale. Si deve eccettuare l’Italia, dove tutti sono così impegnati a scavare tunnel da non potersi permettere distrazioni.

Tra le diverse novità illustrate al meeting f8 del 22 settembre da Zuckerberg, credo valga la pena evidenziare quella della Timeline che va a sostituirsi alla pagina del Profilo personale finora in uso. Su questo cambiamento sono state spese molte parole e molti elogi; il tema che mi interessa sottolineare è quello delle conseguenze sulla privacy degli utenti. Più di un anno fa Zuckerberg aveva suscitato grande clamore esigendo una revisione del concetto stesso di vita privata: a suo avviso infatti sarebbe arrivato il momento di ammettere che l’intimità della propria esperienza è definita dal grado di divulgazione pubblica che vogliamo di volta in volta ammettere. Ma non esiste più alcun foro interiore cui ci si debba o ci si possa limitare.

La visione di Zuckerberg sembra abbattere con una buona dose di ingenuità questi vincoli sociologici. La Timeline è un luogo in cui tutto ciò che abbiamo fatto su Facebook può essere pubblicato e divulgato a tutti. Forse è un baco, ma espone anche i contenuti che abbiamo pubblicato in passato e che abbiamo cancellato per le ragioni più varie. La memoria di Facebook non elimina nulla, conserva tutto e poi lo rigurgita nella Timeline della nostra vita – che è un film con dentro casualità, errori e ripensamenti, come quello che compare davanti agli occhi di chi sta morendo. Non solo: anche altri al nostro posto possono essere autorizzati a diffondere indicazioni su quello che leggiamo e su quello che ci interessa. Due applicazioni – una del Washington Post, l’altra di The Guardian – non si limitano a fornire all’utente le tipologie di news sottoscritte dall’utente, ma le pubblicano anche sulla sua Timeline, in assenza di esplicite indicazioni contrarie da parte dell’interessato. Credo valga la pena riflettere in modo più serio sulla concezione di Zuckerberg e sulle sue conseguenze.

La Timeline di Paolo Bottazzini

Foursquare diffonde notizie sul luogo in cui ci troviamo, GetGlue su quello che stiamo guardano in TV, Twitter elenca i passaggi di una cronaca della nostra vita in 140 battute. Ben Parr sostiene che qualora nessuno di questi servizi lo avesse ancora fatto, Facebook procederà all’uccisione completa della nostra privacy. La nozione cui si riferisce l’editorialista di Mashable è quella connessa alla personalità dell’uomo vittoriano, che descrive in termini di proprietà sia se stesso, sia i suoi rapporti, sia il suo ambiente: è padrone di sé come è padrone dei suoi beni, ha padronanza di linguaggio, della situazione, e dell’uso degli strumenti. L’introduzione dello sguardo degli altri negli scambi di comunicazione tra un individuo e i suoi amici equivale alla violazione di uno spazio recintato, all’effrazione con cui un estraneo penetra nella proprietà privata.

L’individuo che vive nell’epoca dei social network non è più garantito dalle sue proprietà, ma dalle sue confessioni – e dalle confessioni che riesce ad esigere dai suoi amici. Il valore non si condensa più nella stupidità dei vecchi status symbol, come il possesso della macchina o della casa al mare o in montagna o in campagna – ma nella trasformazione del documento interiore in monumento pubblico, la conversione di ogni pensiero e di ogni gesto in un atto di confessione che esiste soltanto se viene letto, condiviso, votato, commentato. Essere è venire percepiti. Ma la percezione non basta, perché il suo compito è quello di produrre repliche, di esigere la confessione altrui, di moltiplicare i confessionali e i gesti e i pensieri realizzati per-il-confessionale.

«Hand over your data, your life, your … soul. And enjoy eternal like in the social media universe.» Zuckerberg parla di oggetti reali, non di metafore: sulla bacheca di Facebook scorre la vita dell’individuo e prende forma la sua anima. La pienezza dell’esistenza non si realizza nella proprietà e nell’azione – ma nella loquacità dell’anima che si espone, si confessa, partecipa alla comunione dei santi nell’universo dei social media. Morto un modello umano, se ne fa un altro. All’uomo vittoriano segue il penitente della Controriforma. Speriamo solo che Zuckerberg non progetti una vendita delle indulgenze a breve termine (o lo sta già facendo il mercato con la quotazione della sua società per il collocamento azionario?). Amen.

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