Blow-UpQuando tecnologia fa rima con magia

Questo blog non era ancora nato, quando nel febbraio del 2008 tutti gli organi d'informazione, dai giornali alla rete, davano al mondo un triste annuncio: la Polaroid Corporation, l'azienda fondata...

Questo blog non era ancora nato, quando nel febbraio del 2008 tutti gli organi d’informazione, dai giornali alla rete, davano al mondo un triste annuncio: la Polaroid Corporation, l’azienda fondata nel 1937 da Edwin H. Land, mago dell’ingegneria contemporanea, a causa di una violenta crisi economico-finanziaria, chiudeva i battenti. Dopo decenni di gloria la grande famiglia Polaroid sarebbe stata spazzata via senza lasciare eredi.

Tutto era cominciato in una lontana estate del 1943 quando il signor Land, durante una bellissima vacanza nei pressi di Santa Fe, fu fulminato da una domanda cruciale rivoltagli da Jennifer, la sua figlia più piccola. La bambina, colta da una smaniosa quanto puntuale curiosità infantile, chiese al papà perché le foto da lui scattate non erano subito visibili. Land, preso di sorpresa, rimase smarrito e non trovò nell’immediato una buona risposta. Jennifer, del resto, pretendeva l’impossibile; e però il papà non poteva deluderla. Land, a quel punto, non si perse d’animo, spremette le meningi e, come narra la legenda, nel giro di un’ora circa escogitò una soluzione brillante. Dopodiché non perse più tempo: fece rintracciare il suo avvocato di fiducia e gli ordinò di aprire una pratica per la richiesta di un brevetto davvero avveniristico. In un solo pomeriggio, sempre come vuole la leggenda, il geniale costruttore fu capace di abbozzare il progetto di una macchina portatile da cui estrarre, subito dopo lo scatto, un’immagine già stampata su carta. Dopo quattro anni il miracolo si avverò.

In realtà, e questa è storia, Land dovette aspettare altri trent’anni prima di poter vendere al grande pubblico lo strumento capace di esaudire il desiderio della piccola Jennifer.

SX-70 fu la sua prima creatura artificiale, la più celebre. Nacque nel 1972, poi seguirono tutte le altre. Land preferiva chiamarle senza l’articolo determinativo anteposto, come se fossero nomi propri di persona. Per lui, infatti, non erano degli oggetti inanimati, erano vere presenze fisiche che partecipavano alla vita sociale. Non mere occasioni di business, ma testimoni oculari di ogni evento, narratori di storie anche piccole, produttori di sogni anche banali, stimolatori di emozioni. Edwin Land voleva che sapessero intrattenere il pubblico, ma al tempo stesso “trattenerlo”, legare le persone a delle relazioni indissolubili, a dei momenti simbolici, a certi istanti-ricordo che il ritmo accelerato della vita quotidiana avrebbe reso sempre più labili, fugaci, frammentari, evanescenti.

Gli anni passarono, i gusti cambiarono, e arrivarono presto nuove tecnologie in grado di stare più al passo con i tempi. Dagli anni novanta del secolo scorso in poi si sono fatti strada nuovi protagonisti nel campo della produzione e della condivisione sociale delle immagini: fotocamere digitali, telefoni cellulari, computer palmari, smartphone, tablet, e altri ne verrano. Tutti venduti a costi relativamente bassi, dotati di memorie infallibili, tutti capaci di prestazioni sensazionali, ma forse troppo vittime delle mode passeggere, troppo sottomessi all’obbligo commerciale del rinnovamento forzato, e soprattutto privi di quel brivido di vitalità che la cara, vecchia polaroid sapeva trasmettere. Ciononostante sono riusciti a mandarla in soffitta.

In questi anni l’azienda storica, sull’orlo del lastrico, ha tentato di ripartire, mettendo in campo nuovi stimoli e nuove forze: sito web, gadget tecnologici sofisticati, la direzione artistica di Lady Gaga, popstar molto amata dal pubblico giovane, e un’intera strategia di marketing indirizzata al mondo del digitale.

Ma, come dice il proverbio, il primo amore non si scorda più. Gran parte del pubblico odierno, che non ha sopportato la perdita del romantico e fascinoso mondo analogico, ha preteso ad ogni costo di “polarodizzare” l’immagine digitale. Troppa era la voglia di riascoltare il suono meccanico dello scatto; di riscoprire i sapori e i colori vintage della pellicola; di rivedere quella piccola cornice bianca su cui scrivere a penna date e pro memoria; di assistere ogni volta alla magia di una nuova immagine che si fa davanti ai propri occhi; di tenere in mano qualcosa che non si dilegua, che si può sentire vicina; e soprattutto di sentirsi parte di una comunità, di una famiglia, di una fratellanza stabilita da vincoli concreti e materiali.

Internet, naturalmente, ha dato una mano. Perché, è vero, da un lato è stato (e lo è tuttora) un’enorme fucina d’idee per gli adoratori delle nuove tecnologie, ma da un altro ha sempre offerto una casa, un riparo, un luogo di culto per i crociati della tradizione, per i nostalgici “feticisti” dello stile polaroid.
Un fenomeno questo non minoritario, anzi in costante crescita. Basti considerare lo sviluppo di un sito come Polanoid, dove si sta allestendo da anni la più grande collezione di vecchie polaroid private provenienti da ogni angolo del pianeta, o come The impossible project, una nuova corporation, dove si sono riuniti ingegneri e operai fuoriusciti dalla vecchia azienda intenzionati a riavviare la produzione delle pellicole, con l’obiettivo di raggiungere in pochi anni i dieci milioni di pezzi. Missione davvero impossibile? Chissà, sta di fatto che dopo questi avvenimenti anche in casa Polaroid qualcosa si è mosso. Ci si domandato se poi, vista la tendenza del pubblico, alla fine non convenga ripescare qualche evergreen con una buona operazioni di restyling. Aspettiamo, vedremo.

Per ora il partito dei cuori infranti riceve continue sponde dal fronte della ricerca artistica, con cui lo stesso pioniere Land aveva intessuto rapporti molto stretti. Molti grandi nomi del panorama internazionale si sono mobilitati, sin da tempi non sospetti, per la tutela di un patrimonio inestimabile accumulato negli anni, per la salvaguardia di un mito insostituibile ed anche per il riconoscimento all’interno del loro lavoro del ruolo fondamentale esercitato dalla polaroid.
Ne danno preziosa testimonianza due grandi mostre, da cui trae le mosse questa mia riflessione, di quest’ultima estate. Polaroid (Im)possible, al museo Westlicht di Vienna cone 350 scatti di Ansel Adams, Man Ray, Andy Warhol, Nobuyoshi Araki, Robert Mapplethorpe, Luigi Ghirri e tantissimi altri e la grande retrospettiva a Berlino di Helmut Newton.

Non so come andrà a finire, ma forse potrebbero illuminarci le parole del grande Edwin Land, un uomo che magicamente aveva saputo inventare il futuro, pubblicate da Time all’indomani della nascita di SX-70:
” Penso che la nuova fotocamera possa avere un impatto sul modo di vivere delle persone. Spero che diventi una parte naturale delle persone.
[…]Quando metti a fuoco guardando nel mirino, in apparenza stai mettendo a fuoco la macchina, ma in realtà metti a fuoco te stesso.[…] Così quando premi il pulsante, viene fuori ciò che è dentro di te. È la parte più elementare della creatività. Una parte di te che resta per sempre”
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Andy Warhol Selfportrait in drag 1981

Lucas Samaras Phototransformation 1976

Helmut Newton French Vogue 1981

Maurizio Galimberti Lady Gaga 2010

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