Il cammello, l'ago e il mercatoStark e Berlusconi, la fuga incrociata che terrorizza l’Europa

  Due notizie di cronaca, in apparenza prive di legame, sono invece intimamente connesse: le dimissioni di Juergen Stark dal Comitato Esecutivo della Bce- per protesta contro gli acquisti di titoli...

Due notizie di cronaca, in apparenza prive di legame, sono invece intimamente connesse: le dimissioni di Juergen Stark dal Comitato Esecutivo della Bce- per protesta contro gli acquisti di titoli italiani da parte della Banca centrale- e la fuga a Bruxelles di Silvio Berlusconi martedì 13 settembre, per sottrarsi all’insidioso interrogatorio dei Pm napoletani sul caso Tarantini.

Premetto che secondo me ha torto Stark, e ha ragione Trichet; qui però non voglio parlare del merito della questione, ma di alcuni suoi aspetti, diciamo collaterali. Stark non ama gli italiani, si dice, ed è senz’altro vero. Ognuno di noi, però, scavando nella memoria ricorderà il momento in cui- per me fu all’inizio dell’adolescenza- si rese conto che non tutti gli volevano bene, e che a qualcuno poteva perfino essere antipatico. Bene, Stark non ci ama, e allora? Chi non vuol sottostare al giudizio, o all’arbitrio, dei creditori, faccia a meno di ricorrere a loro. Certo, Stark non ha le visioni ampie sul futuro dell’Europa di cui questa, e noi con lei, avrebbe bisogno, ma se non le ha Angela Merkel è arduo chiederle a lui.

Stark è criticato per essersi dimesso, così mettendo in gioco la reputazione stessa della Bce, quindi il valore dell’euro. Tralasciamo per carità di patria il marcato contrasto col Bel Paese, nel quale “il sì suona” ma la dimissione no (e in Bce ne sanno qualcosa). È vero, l’euro e la Bce potrebbero soffrirne le conseguenze, ma si sa che nell’Unione gli equilibri sono delicati; i dissensi sono fisiologici fino ad un certo punto, oltrepassato il quale la coscienza, ma prima ancora le necessità di funzionamento di un’istituzione, impongono di trarne le conseguenze. Fra l’altro, le dimissioni di Stark liberano un posto nel direttivo, per far luogo ad un sostituto che- a quanto pare- non sarebbe destinato a ricalcarne le orme; il che, se può abbassare il valore dell’euro, semplifica la vita a Mario Draghi, prossimo presidente della Bce, e sostiene da un lato le esportazioni, dall’altro i corsi dei titoli degli Stati debitori che la Bce ha in pancia. Se poi il dovere della Bce è proteggere il valore dell’euro, il categorico imperativo di Francoforte deve essere evitarne la morte, per di più violenta!

La Germania in questo momento avrebbe la possibilità di divenire lo Stato-guida dell’Unione Europea, e di realizzare in pace- anzi, quasi implorata- il sogno egemonico inutilmente perseguito con due terribili guerre che presero il nome di mondiali, ma non lo fa. Certo, magari fra poco l’accelerazione della crisi, che potrebbe divenire sociale da politica quale ancora è, cambierebbe la carte in tavola. Vedremo, sperando che la quanto mai improbabile, ma potenzialmente devastante, implosione dell’euro non sia la miccia di un ritorno ai mezzi antichi nei rapporti fra le nazioni europee. Potrebbe essere utile a tutti un veloce ripassino della storia d’Europa degli ultimi secoli.

Noi certo ci mettiamo del nostro; chissà come saranno felici a Bruxelles di sapere che le loro preoccupazioni sulla manovra italiana, che durano da mesi, saranno fugate come nebbia all’alba dall’apparizione sulla scena della Ue dell’uomo che più di tutti sta operando per disgregarla! E quanto saranno lieti di fungere da involontario paravento, o cortina fumogena, a beneficio di un uomo in fuga disperata dalla giustizia del suo Paese. Le indagini dei Pm napoletani ce lo descrivono ricattato da Tarantini, mentre le cronache del caso Marrazzo lo mostravano nei panni soavi di chi sapeva, stavolta, di essere lui a tenere in pugno un avversario. Ora è braccato dal Paese tutto, che in tre votazioni in trenta giorni ha tentato di scrollarselo di dosso, senza riuscirci, ma lui- che coi ricatti attivi e passivi ha qualche dimestichezza- lo ricatta, mostrando in quali abissi può trascinare noi, e l’Europa tutta. Potremmo anche sottostare ai suoi diktat, se questo servisse a levarselo di mezzo, per affrontare la terribile prova successiva: la disintegrazione della destra italiana, magari sotto l’urto di una gravissima crisi sociale che sfascerebbe anche la sinistra. Ma il suo ricatto consiste proprio nel rifiuto di togliere il disturbo, nonostante il crollo del suo gradimento politico- non ha neppure più il coraggio di dare i soliti numeri a capocchia- e il coro di tutti, dalla Confindustria ai suoi, che più o meno apertamente lo implorano di lasciare il campo.

Pie illusioni: non se ne andrà mai da solo. Il problema non è tanto la giustizia, da questo “Paese di merda” potrà sempre scappare, come Gheddafi; a differenza di costui, però, non potrà portarsi via il suo tesoro personale, col dovuto rispetto Roma non è Tripoli. Gli resteranno, certo, le ricchezze che all’estero- come sospettano i diplomatici Usa citati su Wikileaks- potrebbe avere ammassato grazie alle sue amicizie coi dittatori più nefandi. Ma cosa resterebbe, della sua ricchezza italiana, volta che diventasse solo un ricchissimo pensionato ad Antigua? Meditate, gente, meditate, magari leggendo il mio blog su Linkiesta “Ok Corral, modesta proposta (per salvare la roba)” del 17 giugno scorso.

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