Una panchina, un libroA.D. Miller, L’amante russa, Frassinelli, 2011

Titolo originale: Snowdrops, 2011 Peccato che il titolo in italiano sia molto meno suggestivo di quello in inglese: “snowdrops”  vuol dire bucaneve e in Russia chiamano “bucaneve” i cadaveri che r...

Titolo originale: Snowdrops, 2011

Peccato che il titolo in italiano sia molto meno suggestivo di quello in inglese: “snowdrops” vuol dire bucaneve e in Russia chiamano “bucaneve” i cadaveri che riaffiorano alla luce del sole quando la neve si scioglie. Siamo quindi in pieno clima noir e persino pulp, condito con quel tanto di sesso che il titolo italiano ha preferito sottolineare. Il romanzo d’esordio dell’ex- corrispondente dell’Economist a Mosca, A.D. Miller, ha qualche pregio ma soprattutto un grosso difetto e stupisce un po’ il suo inserimento tra i sei finalisti del Man Booker Prize , il prestigioso premio letterario per lavori in lingua inglese.
Primo pregio, una scrittura scorrevole, che procede a passo deciso, anche se alcune metafore sono forse fin troppo ardite (ad esempio, quando Miller paragona il viso di un personaggio a “ una patata perplessa”). Secondo pregio, le descrizioni della Mosca di Putin: night-club e ristoranti dove lo champagne scorre a fiumi, squallide bische animate da una prostituzione d’assalto, vecchi appartamenti dai parquet scricchiolanti trasformati in garçonnières di lusso per gangster e banchieri. E la neve che, nel lungo e gelido inverno russo, tutto copre e rende immacolato.
Il difetto sta in un protagonista ed io narrante del tutto inverosimile, Nicholas Platt, avvocato in uno studio internazionale, trasferitosi a Mosca da qualche anno per ragioni di lavoro, ma anche per fuggire alla prospettiva di una piatta mediocrità nella suburbia inglese. Nicholas, 38 anni, è di per se un mediocre , una personalità scialba, che però, grazie alla disponibilità di denaro, diventa una preda interessante nella swinging Moscow. Nasce così il legame con Masha, un’avvenente, per quanto fredda, ragazza di 24 anni, conosciuta in metro. Malgrado i chiari indizi circa la natura equivoca di Masha e della storia in cui lo coinvolge, il debole Nicholas si lascia trascinare oltre i confini dell’etica pur di non perderla, quasi che le gioie delle notti moscovite gli avessero completamente cancellato ogni principio morale. Il suo anziano vicino di casa lo mette sull’avviso, e noi stessi lettori vorremmo che ripiegasse dinanzi all’allarme rosso che risuona di pagina in pagina. Ma lui no, ci casca sapendo di cascare. D’altronde gli ingenui e, soprattutto, i corruttibili a Mosca non mancano. Prova ne sia che lo stesso studio di avvocati d’assalto in cui Nicholas lavora incappa in un affare che ha tutte le premesse per rivelarsi un bagno di sangue – ed è ciò che avviene.
Ma forse l’aspetto più inverosimile è l’espediente narrativo utilizzzato da Miller: Nicholas, ormai rimpatriato e ancora sommerso dalle memorie moscovite, narra la sua storia sotto forma di lettera-confessione alla donna che fra poco sposerà. Un’assurda lettera-romanzo che, oltre a rivelare l’imbarazzante amoralità del mittente, non risparmia i più intimi dettagli dell’esperienza russa. Difficile che venga tollerata neanche dalla più indulgente delle fidanzate . Non è una spy story e neppure un thriller psicologico ma come lettura in volo o in treno ci può stare.

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