In occasione dell’anniversario della morte dello scrittore nigeriano Ken Saro-Wiwa, commemorato oggi su Linkiesta, ho pensato di riproporre in questo blog la bella recensione che Claudio Mori ha pubblicato su Guida alle panchine di Milano sotto forma di lettera. Ecco qua:
Cara Vera,
ripensavo alla nostra ultima conversazione. Parlavamo del linguaggio. Di come, negli ultimi libri che avevamo letto, per quanto interessanti e ben costruiti, mancasse tuttavia un ulteriore e fondamentale motivo di interesse, vale a dire una originale ricerca espressiva e linguistica.
Parlavamo dell’interesse che suscitavano in noi le nuove letterature africana, mediorientale, asiatica nelle quali speravamo di trovare quella nuova linfa, non solo narrativa, che ci sembrava essere venuta meno alla letteratura occidentale.
Ecco che l’occasione per rendere più chiaro ciò di cui stavamo parlando viene dal confronto tra due libri che diversamente affrontano il dramma della guerra civile nigeriana (1967-70) e del Biafra. Mi riferisco a “Metà di un sole giallo” di Ngozi Adichie Chimamanda e a “Sozaboy” di Ken Saro-Wiwa. Due bei libri. Ma in Sozaboy c’è molto di più. C’è ricerca linguistica, c’è l’invenzione di un linguaggio. Le parole, le costruzioni sintattiche, i verbi sono la narrazione riuscita. Posso solo intuire ciò che la traduzione in italiano non può assolutamente restituire, per quanto sforzo sia stato fatto. Un amalgama di pidgin (un pessimo inglese inizialmente per uso commerciale tra cinesi ed europei), inglese aulico, dialetto locale, tradizione orale tenuti insieme da funambolici passaggi di tempo e sintattici. E impastati nei costumi, nelle superstizioni, nella cultura locale.
Il risultato può piacere o meno, Vera. In alcuni momenti ho trovato certi passaggi troppo insistiti. Ma questo nulla toglie all’interesse e al piacere suscitato in me da questa costruzione. Che anziché soffocare, esalta al contrario i diversi elementi tematici ed emotivi del romanzo. Il candore picaresco di Mene, il protagonista narrante, l’arroganza criminale del potere politico ed economico, la tragedia della popolazione vittima inerme di qualcosa che non riesce nemmeno a capire o immaginare.
Mene – Sozaboy (ragazzo soldato) lascia madre e moglie, la bella Agnes che ha più tette che anima, per arruolarsi attratto dal fascino della divisa e dalla promessa dello status che essa offre, a fare dio sa cosa, per combattere un nemico che non sa chi sia. Passa per caso da un esercito all’altro, da un orrore a un altro, per accorgersi che “la guerra è senza senso” tranne per chi da essa trae vantaggio: “ E così questi uomini-pancia sono amici dei soldati, dei politici, degli affaristi. E fanno tutti grandi affari sopra la pelle degli uomini, delle donne e dei bambini. E la loro cliente è la morte”, spiega a Mene-Sozaboy un vecchio saggio di Dukana, il villaggio da dove inizia la tragedia di Mene e dei suoi abitanti.
Ken Saro-Wiwa venne giustiziato a Port Harcourt il 10 novembre 1995 per la sua battaglia in favore degli Ogoni, popolazione del delta del Niger che si opponeva e ancora si oppone alla distruzione del loro ambiente per mano delle compagnie petrolifere. Nel 1993, ricorda nella nota critica al libro Itala Vivan, il Movimento per la sopravvivenza degli Ogoni riuscì a bloccare il progetto di sviluppo della Nigerian Liquefied Natural Gas ltd. in cui la Shell aveva il 24% e l’italiana Agip il 10%.
Claudio Mori