Ogni giorno la più qualificata stampa internazionale si domanda quanto tempo ci metteremo per liberarci della Satrapia che ancora ci governa. Certo, sarebbe difficile, e anche un po’ umiliante, andare a spiegare in giro per il mondo la verità: il capolavoro di Calderoli, il porcellum, ci regala un Parlamento che, rovesciando la logica della tripartizione dei poteri propria delle democrazie liberali, è ostaggio del governo, anziché tenerne in mano le sorti. In un collegio di nominati precari, la maggioranza, convinta di essere sconfitta al prossimo turno, non vuole andare a casa: pensa che i posti a disposizione diminuiranno. Figurarsi quanto è realistica l’idea di dimezzare il numero dei nominati, sempre venduta al popolo a scadenze regolari, purché lontano dalle elezioni. Tranquilli, se ne parlerà nella prossima legislatura: ma solo all’inizio.
Anche se a prima vista non pare, è qui che viene in rilievo la nostra peggiore carenza; la virtù civica meno praticata nel nostro Paese è il coraggio, la spinta a reagire al sopruso, anche nel suo sottoprodotto, il rifiuto di dargliela vinta, o di mandarla giù. Come ha scritto Erri De Luca, abbiamo la maledizione della pavidità travestita da prudenza. È la paura a impedirci di denunciare soprusi grandi e piccoli, dei quali siamo testimoni, quando non complici o partecipi. È questo l’atavico timore del bracciante che non osa protestare per la paga decurtata rispetto ai patti, perché altrimenti domattina nessuno lo sceglierà, in mezzo a tanti altri, per il lavoro nei campi: dove la dignità conta meno della cena di domani sera. Ma se il bracciante può essere ben capito, non si capisce invece chi, libero artefice del proprio destino, dimentica la frase di Winston Churchill, per cui neanche l’uomo più preveggente sa cosa gli conviene, ma anche il più semplice sa cosa è giusto. Solo pochissimi professori universitari – secondo le varie ricostruzioni, da 12 a 16 su 1250 – rifiutarono il giuramento di fedeltà al regime fascista; molti fra quanti giurarono erano certo tutt’altro che fascisti, ma una vasta gamma di argomentazioni, dalle più alle meno nobili, li convinse che fosse necessario, o opportuno, piegare la testa. Nel ’31, certo, il ’45 era inconcepibile, ma ricordiamo cosa scrisse Amendola nelle sue memorie: Ciano, che gli confessò di aver aderito al fascismo per pura convenienza, morì fucilato a Verona, mentre lui, che seguì la strada stretta di Churchill, scriveva appunto le memorie circondato dai nipotini.
Per il momento sono pochi i deputati della maggioranza che si arrischiano a rompere le righe; è sintomatico che diversi di essi, come Versace, Destro ed altri, abbiano in mano un altro mestiere, dal quale si sono distaccati per tentare un’avventura politica che evidentemente non hanno più intenzione di continuare. Con questo non sostengo, attenzione, che chi sceglie la politica come mestiere faccia l’interesse pubblico meno di chi vi si accosta provenendo da esperienze diverse: De Gasperi, La Malfa, Nenni e Togliatti furono uomini politici a tutto tondo, le cui scelte si possono discutere ma che furono ben convinti di lavorare nell’interesse generale. Certo, l’esperienza politica da loro maturata attraverso gli anni duri del fascismo ci regalò una classe politica per cui, guarda caso, proprio il coraggio fu ingrediente essenziale: quasi una strettoia attraverso il quale il loro profilo morale fu estruso.
Quel che è certo è che il porcellum esalta i lati peggiori del professionismo politico, e ne deprime quelli migliori. È per questo che esso va assolutamente tolto di mezzo, ed è sempre per questo che sarà quasi impossibile farlo. Un grato pensierino va a quanti ora si stracciano le vesti per il porcellum, ma al momento della sua approvazione tacquero come tanti disciplinati scolaretti, nonostante i vizi clamorosi di quella legge fossero già ben evidenti. Montezemolo, allora presidente di Confindustria, non fece sentire la sua voce che ora si leva forte e chiara. Chi ha davvero a cuore l’interesse pubblico, e vuol essere leader, non faccia il follower, parli quando la parola serve, anche se così facendo rischia; troppo facile farlo solo dopo, quando non si rischia nulla, e la parola a nulla serve.
Il problema non è Berlusconi, si sa, ma il popolo che l’ha eletto; secondo tutte le possibili rilevazioni, tuttavia, quella maggioranza nel Paese non c’è più. E così eccoci qui, a domandarci come in tale situazione si possa, rispettando norme e spirito di una democrazia liberale, mandare a casa un governo che tanto male fa al Paese, ma che non mostra alcuna intenzione di prenderne atto e tiene in ostaggio la sua maggioranza. Non si dica, per favore, che una crisi peggiorerebbe le cose, né si venga fuori con la solita solfa del «Sì, ma dall’altra parte cosa c’è?». Si prenda atto della triste realtà: non solo la Ue ed il direttorio franco-tedesco ci hanno messo sotto tutela, stiamo addirittura per diventare sorvegliati speciali del Fondo Monetario Internazionale, neanche fossimo il Gabon.
Il quasi 4% in più di interessi che paghiamo sul nostro debito rispetto ai tedeschi ci dà la misura della differenza fra un popolo che ha a cuore il suo futuro, e uno che non se ne cale. «Delle cicale, ci cale ci cale ci cale, della formica, non ci cale mica», si cantava alla nostra Tv. Appunto. Il debito pubblico non l’ha inventato Berlusconi, che in quelle parole si rispecchia bene, ma certo lo ha aggravato. Soprattutto, non ha capito in che situazione siamo o, forse è peggio, non gliene cale. Il timore di perdere, col potere politico, anche un sacco di soldi (vedere il post del 17 giugno 2011) lo tiene incollato alla guida di un’auto lanciata verso l’abisso. E noi siamo seduti dietro.
A quanto ammonta la “Papi Tax” (copyright Tito Boeri)? Se all’1%, come sostiene Nouriel Roubini, a regime fanno 19 miliardi all’anno, 1,5 miliardi al mese, sul solo debito pubblico. Vanno invece considerati i maggiori interessi che tutti noi, banche, imprese e famiglie, paghiamo per la totale inaffidabilità del nostro governo, che – se dall’Italia allarghiamo lo sguardo all’Europa – mette a rischio addirittura tutta la costruzione europea. È per questo che il mondo guarda impaziente a quel che succede, o non succede, a Roma. Quousque tandem?