L’Italia ha il 32% di possibilità di dichiararsi insolvente nei prossimi cinque anni. Peggio di Roma, troviamo solo Grecia, Portogallo e Irlanda. E dire che a inizio anno l’Italia era a quota 17 per cento. Questa classifica poco lusinghiera deriva dalla percentuale implicita di default, un parametro ricavato dal prezzo dei Credit default swap (Cds), gli strumenti finanziari derivati che fungono da assicurazione contro il fallimento di un asset. Secondo i dati di Markit, l’Italia ha quindi una probabilità su tre di fare bancarotta da qui al 2016. Colpa delle turbolenze dell’eurozona e delle scarse prospettive di crescita economica. Non è difficile pensare ciò. Gli investitori guardano lungo un’orizzonte temporale più ampio rispetto alla politica e i Cds servono a proteggersi da un evento futu, proprio come un’assicurazione.
La peggiore è la Grecia. Difficile possa essere il contrario. La sua percentuale implicita di fallimento nei prossimi cinque anni è del 93 per cento. In altre parole, è già fallita. Meglio va al Portogallo, dato che il Cds fornisce il 54% di probabilità che il Paese debba dichiararsi insolvente. Ancora meno remota, il 41% di possibilità, la bancarotta per l’Irlanda. Nonostante il programma di sostegno del Fondo monetario internazionale, Ue e Bce, per Dublino l’ultima verifica di bilancio è andata secondo i piani, nonostante la situazione finanziaria del sistema bancario resti la prima preoccupazione dei funzionari della troika.
Troviamo poi, subito sotto l’Italia, la Spagna. Con il 28% di probabilità di fallimento nel prossimo lustro, Madrid è al quinto posto dei meno virtuosi. A preoccupare per Madrid è l’escalation con la quale i Cds stanno aumentando il loro prezzo. Più si avvicinano le elezioni, domenica prossima, più cresce il prezzo dei derivati. Un fenomeno simile è possibile che si verifichi anche per la Francia, che attualmente è un gradino sotto la Spagna, con il 15% di possibilità di default. Nonostante Parigi sia allo stesso livello che l’Italia aveva a inizio anno, anche gli investitori iniziano a essere scettici anche sull’Eliseo. Colpa del sistema bancario, troppo vulnerabile alla crisi dell’eurozona e a quella italiana in particolare. A completare la classifica europea troviamo la Germania, che con il 7% continua a essere il paradiso privilegiato degli investimenti risk-free per la zona euro, e il Regno Unito, con il 6 per cento. Fuori dai confini continentali, il porto sicuro rimangono gli Stati Uniti, con il 4% di probabilità di bancarotta nei prossimi cinque anni. Nonostante la perdita del rating AAA, Washington resta al primo posto per chi cerca tranquillità. Anche il Giappone, con un ratio dell’8%, può essere contento. Questo sebbene il terremoto dell’11 marzo scorso abbia avuto pesanti ripercussioni sulla crescita economica e Tokyo si porti dietro sui mercati uno dei debiti pubblici più grandi del mondo.
Resta da definire l’attendibilità dei Cds. La International swap and derivatives association (Isda), ovvero l’associazione di categoria dei derivati, ha spiegato che anche in caso di ristrutturazione del debito greco, non scatterà l’evento creditizio in grado di rimborsare i sottoscrittori di Cds. Una beffa per tutti gli investitori istituzionali che li hanno comprati. Una manna dal cielo per le banche e le compagnie assicurative che li hanno emessi.