Sono reduce da un weekend nella bella Venezia per un ultimo giro prima della chiusura della Biennale d’Arte e una visita a Palazzo Grassi e Punta della Dogana.
Il clima straordinariamente mite per la stagione e l’ottima compagnia hanno reso il soggiorno perfetto.
Nel vagare insieme nella magica città veneta, dopo aver portato a termine il nostro giro culturale, io ed i miei accompagnatori abbiamo intrapreso un dibattito, tutt’ora ancora non risolto, relativo alla produzione artistica contemporanea.
Molti infatti non sono rimasti affatto soddisfatti della loro visita sostenendo di non cogliere il senso di molte istallazioni e rappresentazioni artistiche che hanno visitato ricorrendo spesso all’espressione “Questa è arte?!Ma lo potevo fare anche io!”, citando involontariamente il titolo di un libro di Francesco Bonami, critico d’arte e curatore italiano, che nel suo saggio cerca di rispondere, e a mio parere in maniera eccellente, a questo interrogativo che frequentemente si pongono visitatori di mostre contemporanee.
Dopo aver consigliato la lettura del libro ai miei interlocutori ho provato ad argomentare perché io l’arte contemporanea la adoro.
Perchè mi esalto maggiormente davanti ad un’opera di Edwaed Kienholz che di Tintoretto? ( forse con questa affermazione mi tirerò dietro l’ira funesta dei più)
Perchè quando passeggio tra i padiglioni internazionali della Biennale di Venezia sento un’empatia e un trasporto che la Pinacoteca di Brera non mi dà?
Le mie motivazioni sono razionali ed emotive insieme; due aspetti da cui non bisognerebbe prescindere mai nella vita ogni volta che ci si trova ad affrontare un qualsiasi dibattito e sostenere la propria tesi.
La motivazione razionale è che l’arte contemporanea rappresenta temi che al giorno di oggi ci riguardano più da vicino sia nella loro accezione più universale come la morte, la malattia, la povertà e la violenza visti sia in quella più vicina all’uomo di oggi dai mass media, alla genetica, alle ultime guerre.
La motivazione emotiva è che io di fronte ad un’ opera d’arte contemporanea riesco senza alcuna difficoltà a fare mio il punto di vita dell’autore, ad entrare nell’ordine di idee che hanno permesso all’artista di realizzare quello che mi trovo di fronte a prescindere che condivida o meno la sua rappresentazione.
Ora opere come quelle del Tintoretto o qualsiasi grande artista del passato le consideriamo eterne, ma succederà anche per le produzioni artistiche contemporanee ne sono convinta.
Daniel Barenboim, pianista e direttore d’orchestra, ha detto
” Ogni grande opera d’arte ha due facce, una per il proprio tempo ed una per il futuro, per l’eternità”
Quindi ai posteri l’ardua sentenza.