Delude il vincitore del Man Booker Prize 2011
Malgrado la scrittura impeccabile, l’ultimo romanzo breve dell’inglese Julian Barnes – 150 pagine, non ancora disponibile in edizione italiana – non merita il Man Booker Prize che gli è stato assegnato un mese fa. Mi è parso un esercizio di snobismo letterario, dove sull’altare dello stile si sacrificano la trama , la consistenza dei personaggi, la ratio dei loro comportamenti e soprattutto le emozioni.
L’essenza del messaggio di Barnes sta nelle parole all’inizio del libro:Ciò che alla fine ricordiamo non è sempre ciò di cui siamo stati testimoni (la traduzione è mia).Nel senso che spesso distorciamo, anche inconsapevolmente, il nostro passato o in alcuni casi ricordiamo un passato di seconda mano.Per suffragare la sua tesi, Barnes si inventa un io narrante “inattendibile”, Tony Webster, un uomo sulla sessantina che, nella prima parte del libro, ricorda alcuni episodi della sua vita da studente nell’Inghilterra degli anni Sessanta . La scuola, le amicizie, il primo amore e, soprattutto, il miglior amico, Adrian Finn, intellettualmente brillante e sicuro di sè, malgrado le origini familiari misteriose: un modello comportamentale estremamente affascinante per chi, come Tony, ha l’ambizione, ma non la capacità, di elevarsi sulla massa. Non a caso dopo il liceo le loro strade si dividono : Adrian viene accettato a Cambridge, mentre Tony si deve accontentare di un’università di livello più basso. Quando, ventenni, ormai non si frequentano più, accadono due eventi intorno ai quali si regge tutta la costruzione di Barnes: Adrian scrive a Tony che si è messo con Veronica, la prima ragazza con cui Tony aveva imbastito una breve relazione e, pochi mesi dopo, Tony apprende che Adrian si è suicidato. A questo punto – siamo a un terzo del libro – la narrazione torna al presente: sono trascorsi quarant’anni, una moglie, una figlia, un divorzio. Il nostro Tony, in pensione, riceve in lascito dalla madre di Veronica 500 sterline e i diritti sul diario di Adrian. Questa inaspettata missiva scuote in maniera sorprendente la sedentarietà di Tony, che, per i restanti due terzi del libro, si scatena in un’assurda ricerca del passato. Grazie a una gragnuola di e-mail, riesce a contattare la sempre più enigmatica Veronica che gli riserva un’accoglienza al limite della villania. Ma lui non si lascia scoraggiare e va avanti con improbabili e sempre più disastrosi e altrettanto inverosimili ricerche solitarie, fino a quando, in effetti, arriva a constatare quanto la sua memoria possa essere stata fallace sul conto di Adrian.
Interessanti i molteplici significati del titolo: The Sense of an Ending allude al suicidio di Adrian ma anche alla fase finale della vita di Tony. O non sarà forse un’anticipazione della domanda che mi sono posta alla fine del libro: ma che senso ha tutto questo?
Tra i m finalisti del Man Booker Prize 2011, vedi anche Jamrach’s Menagerie di Carol Birch e L’amante russa di A.D. Miller.