Il Portone di Ingresso del Liceo Berchet a Milano,Via della Commenda
Dicembre 2011.
Svoltato l’angolo di Via Lamarmora ed entrato in Via della Commenda, l’ombra della strada, in basso, e gli edifici illuminati da un pallido sole, in alto, sono sempre gli stessi.
Sempre le stesse le sagome dei portoni della Majno, prima, e del Berchet, subito dopo, che varco, con un pizzico di esitazione. «Ne ho fatto parte per cinque anni, ora che cosa c’entro?» penso.
Tutto uguale, tranne una vernice nuova alle porte di ingresso (undici anni fa erano grigine, adesso di un scintillante marrone scuro) ed un plasma sospeso nell’atrio che annuncia qualcosa.
Più o meno sotto il quale, nel 1996, un ragazzo a squarciagola talvolta annunciava – dopo una votazione sommaria per alzata di mano, che contrapponeva ciellini e comunisti (e qualche trapiantato pianista montecitoriano che di mani ne alzava due) – «l’autogestione è passata!!!».
Mi dirigo verso le scale e l’aroma di brioches appena sfornate mi raggiunge.
E mentre mi nasce in gola una lieve nostalgia che mi percorre e cresce inarrestabile, salgo i gradini di pietra materica (sempre uguali) che, avvitandosi verso destra in tre rampe, guadagnano il primo piano.
Ma poco prima dell’ultima, ecco da un finestrone appaiono gli alberi del cortile, ed il ricordo dei dieci minuti di intervallo delle 11 e 10, tra la terza e la quarta ora, della prima sigaretta (ma solo per farmi bello, fumare mi avrebbe poi ripugnato) e dei primi amori, prepotentemente mi assale.
Quando infine arrivo al primo piano, ed un volto sorridente del personale mi dice «Io mi ricordo di te, sei Marco Sa….» e, in quella pausa, squilla la campanella della fine dell’ora (accidenti, suoni esattamente come l’ultima volta, è sempre la stessa nota), faccio un notevole sforzo per bloccare una specie di singhiozzo.
Procedo a sinistra, leggo la targa «Presidenza» del Prof. Innocente Pessina e busso.
Sono in anticipo di sette minuti
Se me ne concede due allunghiamo di cinque!
Aspetto, dopodiché mi chiama.
Il tricolore ed altre due bandiere (Unione Europea e Regione Lombardia), l’antico mobilio e un’ampia scrivania al di là della quale il Preside gentilmente mi invita con un «Si accomodi pure» risvegliano un timore reverenziale, mai sopito, per la mia cara e vecchia Scuola.
Il Preside del Liceo, Prof. Innocente Pessina
Buongiorno Preside. Questa intervista sarà “postata” sul sito de Linkiesta…
Vengo subito interrotto e “sgridato”.
Eccolo, un altro che adopera il verbo «postare». L’ho cercato sul dizionario italiano, ma proprio non c’è. Ma ormai tutti i miei ragazzi sembrano comunicare solo per sms, con le «K» al posto del «CH» e con i «NN» al posto del «NON». È importante, a mio avviso, difendere la lingua italiana nella sua purezza, ma mi rendo conto che lottare contro i neologismi è una battaglia persa in partenza, anche a causa dell’ignorante bombardamento mediatico al quale siamo sottoposti pressoché quotidianamente. Soprattutto se ad un telecronista di una partita capita di dire, come ho sentito insieme a milioni di altri telespettatori, che le «tifoserie avversarie si sono interfacciate amichevolmente».
Vorrei partire proprio dalla lingua. Nel mondo della globalizzazione, dove dilaga l’inglese ed è (a proposito di neologismi) un «must» avere una tata anglosassone, come mai ritiene essenziale per la formazione di un adolescente, al Liceo Classico, lo studio di lingue non più viventi?
Le faccio un esempio. Due anni fa, all’Università Statale di Milano, l’esito di un concorso in materie scientifiche cui hanno preso parte le Scuole Superiori (fra cui anche Licei Classici e Licei Scientifici) della Regione Lombardia, ha visto tra i primi venti classificati, ben 7 studenti del Liceo Classico Berchet.
Questo risultato, apparentemente poco coerente con un Liceo Classico, è ricordato da una targa esposta nell’atrio della scuola.
Per non contare il fatto che ai primi due posti si sono classificate 2 studentesse sempre del Liceo Berchet.
Per quel motivo, allora, il Liceo Classico «sforna» studenti bravi, e, a volte, migliori di altri?
Il segreto (e mi riallaccio in particolare all’importanza dello studio delle c.d. lingue morte) è il Greco antico.
Lo studio, non solo prettamente mnemonico, dell’analisi logica, delle declinazioni, delle coniugazioni, dei paradigmi e, infine, la traduzione della «versione» obbligano (e poi abituano) la mente ad uno studio analitico, prima, e sintetico, poi, del problema, che, per la sua profondità ed esaustività, non ha pari altrove ed è replicabile in ogni ambito, anche e soprattutto scientifico.
È uno studio che apre la mente.
Insomma, qui si studia il Greco non per andare in Grecia, ma per imparare ad usare la testa.
E non mi faccia parlare del fatto che la drammaturgia greca ha scandagliato ed analizzato tutte le molteplici sfaccettature della psiche umana, dei suoi dilemmi interiori ed esteriori, delle problematiche individuali, sociali e statali…perché altrimenti La terrei qui per ore.
I miei colleghi, amici e non, mi rimproverano di avere frequentato una Scuola – il Liceo Classico – ritenuta «superata» ed incapace di adeguatamente formare, oggigiorno, per i percorsi universitari successivi.
Purtroppo devo confermare la Sua percezione.
Ecco un dato: nell’Anno Scolastico 2002-2003 i nuovi iscritti sono stati 346; in quello corrente 2011-2012, invece, si sono dimezzati a 174. Ma il dato è più o meno questo negli ultimi cinque anni.
Quali sono le iniziative intraprese per far fronte al calo e «stimolare» l’interesse dei giovani ad iscriversi?
Molteplici. E i riscontri sono stati tutti positivi.
Ad esempio, abbiamo avviato da quest’anno un corso di cinese, fuori dall’orario scolastico ed aperto a tutti. E le iscrizioni, grazie anche al fatto che le tariffe sono contenutissime e la qualità molto alta, hanno già dato il tutto esaurito. E, in via eccezionalmente sperimentale solo per quest’anno, stiamo facendo alcune lezioni di russo, impartite da una Professoressa madrelingua.
Gli studenti vi partecipano con un interesse ed una curiosità entusiasmanti: ed applicano le stesse tecniche di studio del Greco antico anche al cinese ed al russo.
E sa cosa Le dico?
Paiono essere bravissimi!
Vedremo.
Le regole cardine del nostro diritto civile sono state ereditate dall’Antica Roma: l’eventuale introduzione di un corso di diritto fra le materie del Liceo Classico non potrebbe vieppiù attrarre chi, figlio di un magistrato o di un avvocato, ha una naturale vocazione per il diritto e sa già che si iscriverà, dopo la maturità, ad un corso di Giurisprudenza?
Ma c’è già, seppure ancora nascosto nei commi di un testo di legge che non è stata ancora attuata, chiamato «Cittadinanza e Costituzione».
Si tratta di un corso dedicato alla nostra Carta fondamentale, alla struttura della nostra democrazia, ai principi del vivere civile, alle regole che presiedono alla nascita delle leggi nel nostro Paese.
L’implementazione del corso mi pare necessaria.
Per due buone ragioni, una urgente e l’altra storica.
Quella urgente, poiché i nostri ragazzi qui dentro compiono 18 anni e vanno a votare, e quindi non possono non sapere la differenza tra il Presidente della Repubblica ed il Presidente del Consiglio.
Quella storica, poiché è un ex Berchettiano l’estensore della seconda parte dell’art. 3 della Costituzione, l’On. Lelio Basso.
Fides, pietas, virtus…Questi sono solo alcuni dei mores maiorum, spina dorsale dell’Antica Roma repubblicana e gradualmente superate nell’età imperiale.
In un’epoca, come la nostra, di decadenza dei costumi e di devastante crisi, il Liceo Classico non potrebbe farsi promotore, mutatis mutandis e tramite apposite iniziative culturali, di un nuovo mos mairoum, in un’ottica di reciproca ricerca di crescita?
Sono temi sui cui insisto ogni anno, agli Open Day in cui presento la nostra Scuola ai genitori dei potenziali nuovi iscritti.
Non è una novità che siamo in un’epoca di decadenza, quello che manca è la sensibilità di adottare, ad ogni livello della società, gli strumenti necessari per farvi fronte.
Non solo il Liceo Berchet, quindi, ma tutti i Licei, o meglio, tutte le associazioni aventi scopo educativo, a partire dalla famiglia, devono coraggiosamente reagire alla decadenza, senza rassegnarsi.
In particolare, occorre che famiglia, da un lato, e Scuola, dall’altro, stringano un’alleanza. La prima deve fidarsi della seconda, e viceversa.
Non è possibile, infatti, che il papà di un alunno, solo in quanto avvocato, venga a contestarmi una sanzione di una trentina di euro da me applicata a suo figlio colto sul fatto a fumare.
Né è accettabile che la mamma di un alunno, solo in quanto Professoressa all’Università, contesti ad una mia collega del Berchet le correzioni su una versione di greco fatta dal figlio.
È importante cioè che le famiglie non «demoliscano» il ruolo del docente davanti agli occhi del figlio; se non lo gradiscono, forse è meglio cambiare scuola, altrimenti sono cinque anni in cui, senza rispetto del proprio maestro, l’alunno finisce con non imparare un bel niente.
I mores maiourum di Roma che la rendono un Impero e, poi, l’Impero che si sgretola nel panem et circenses devono allora essere un monito.
L’Italia del Dopoguerra aveva un grande slancio, culturale, intellettuale ed economico.
Oggi tutto questo non c’è più: siamo purtroppo l’Impero che si sgretola.
È nostro dovere recuperare l’originario slancio, prima che sia troppo tardi.
Riscendo le scale, inebriato e pieno dalla chiacchierata che qui ho riportato solo in parte.
Anche la mia valigetta pesa un po’ di più della salita di prima.
Il Preside mi ha consegnato una copia dell’Annuario dedicato al Centenario del Berchet, 1911 – 2011.
Nell’annata 1995-2000 ritroverò, qualche ora dopo, tutti i miei compagni.
Χαίρε,
Marco Sartori