Il lungo weekend di inizio Dicembre lo attendevo con ansia perché grazie alla festività di Sant’Ambrogio, che a Milano anticipa la festa dell’Immacolata, sapevo di avere di fronte e me 4 giorni di puro tempo libero. Tempo mio di cui ho potuto disporre liberamente suddividendolo tra ozio, riposo e dedizione verso le attività che amo di più, ma che spesso trascuro per doveri quotidiani.
L’attività che in assoluto prediligo è sicuramente la visita alle mostre e questa volta è stato il turno del grande fotografo statunitense Robert Mapplethorpe presso il Centro Forma Foto di Milano.
Una retrospettiva di circa 178 opere, messe a disposzione dalla Robert Mapplethorpe Foundation di New York, che ripercorrono tutto il percorso creativo del fotografo.
La fama di Mapplethorpe deriva principalmente dalla sua capacità di riprodurre la nudità umana con estremo rigore artistico rendendo i corpi, attraverso l’obiettivo fotografico, sculture marmoree. L’aspetto che mi ha più colpito però è stata la sua abilità nell’autorappresentarsi.
Mapplethorpe gioca con l’obiettivo, si diverte a impersonificare io diversi accomunati soltanto dal medesimo sguardo, da occhi che parlano allo spettatore e che quasi implorano la sua attenzione.
Un Robert donna, uomo, icona gay o maschio virile, il fotografo statunitense gioca con diverse identità invocando la libertà di essere qualsiasi cosa vogliamo in nome del diritto di esprimere la nostra natura al di là di vincoli sociali e culturali.
Nello scorrere della vita quotidiana dovremo sempre cercare di autorappresentarci oltre gli schemi ed gli obblighi che la società e gli altri spesso pretendono di imporci, cambiando anche ogni giorno, ma sempre con l’obiettivo di essere ciò che ci fa stare meglio.