Per carità, il film è carinissimo.
Si sorride, si ride, non ci si annoia mai.
Certo, se non sei “romano de Roma” a tratti ti sfuggono le parole.
Io spesso non ho capito quello che diceva Luca, il protagonista quindicenne che se non parla romanesco poco ci manca, ma va detto anche che mi sfugge totalmente il gergo dei ragazzetti della Capitale (scialla, te s’accolla, fare sega – espressione, quest’ultima, che a Milano ha tutt’altro significato, per dire).
Non è un problema, si imparano cose nuove e questo è sempre un bene.
La vicenda poi è quanto mai coinvolgente per chi, come me, ha tra i 40 e i 50 anni ed è dotato di figli adolescenti o quasi.
I temi delicati ci sono tutti.
Lo spaesamento che provi di fronte alle prime ribellioni di quello che fino a un attimo fa era il tuo “cucciolo d’amore” e ora ha peli, brufoli e addominali da maschio in caccia.
La tentazione di fare l’amico, mentre sei suo padre (o sua madre) e quindi devi dare regole, ricordare doveri, e saper dire tanti no, che è cosa ben più difficile e frustrante.
L’importanza di non distrarsi mai, ancora meno di quando erano piccoli, perché in un attimo ti combinano casini che poi rischiano di pagare molto duramente.
In questo caso il padre, Bruno, è un bellissimo, affascinante, perfino sexy Fabrizio Bentivoglio, che ancora una volta interpreta se stesso, un professore stralunato che campa dando ripetizioni private a ragazzini svogliati e scrivendo biografie di calciatori ed ex pornostar diventate ricche signore ben sposate, e che ha messo nel cassetto il sogno di scrivere il romanzo della vita.
Pigro, sciatto, forse un po’ depresso, Bruno vive dentro un mondo fatto di canne e vuoto d’amore, fino a quando scopre di essere il padre di Luca, e si trova a dover rimediare a quello che è stato uno dei suoi atti di sciatteria tanti anni prima, che gli ha fatto perdere la possibilità di avere una vita diversa, forse più felice.
Ci sono momenti esilaranti tra i due, come l’impagable conversazione su Achille.
Ci sono anche anche momenti di tenerezza.
Luca è disegnato bene, con la sbruffonaggine di uno che da grande vuole fare lo spacciatore ma che di nascosto guarda le foto della sua mamma lontana. Altrettanto bene è disegnato Bruno, uomo da sogno che rifiuta le avance tanto esplicite della pornostar perché quello che lui vuole più di tutto è dormire abbracciato a qualcuno (e le donne in sala giù a sdilinquirsi).
Però però però, mannaggia, c’è qualcosa che manca in questo film, seppur tanto carino. Ed è il solito problema di tanti titoli italiani, che funzionano fino a lì, ma non riescono ad andare davvero in profondità, a sorprendere, a farti sorgere domande che ti turbino il sonno, ben oltre l’arrivo a casa.
Tutto si svolge e si risolve in modo troppo semplice, prevedibile, direi banale.
I temi, seppur importanti, sono noti e non aggiungono molto a quello che sai già (la responsabilità che hai nei confronti di questi figli che saranno gli uomini di domani, l’importanza di esserci, la fatica e il dolore di educare, il ruolo della scuola, così determinante nel bene e nel male).
Le trovate comiche sono divertenti, ma non spiazzano.
Resta tutto in superficie, accennato. I personaggi virano verso lo stereotipo, chi più chi meno. E alla fine del film ti ritrovi che hai passato un paio d’ore piacevoli, ma pronte a essere dimenticate di lì a poco, come un bicchiere d’acqua fresca in un caldo giorno d’estate.
Scialla, spettatore, stai sereno.