Poco prima che il 2011 terminasse, Monti ha inviato una direttiva ai diversi ministeri auspicando una maggiore sobrietà nella spesa pubblica; in poche parole, l’ex rettore della Bocconi, ha chiesto ai ministri di rivedere alcune spese che potrebbero essere evitate per permettere quantoprima di raggiungere l’agognato pareggio di bilancio. Tra queste voci, una che merita particolare attenzione, è la spesa destinata al ministero della Difesa e più precisamente, la spesa destinata all’acquisto di 131 caccia F-35.
E’ da diversi mesi che cresce sempre più l’indignazione dei cittadini per una tale spesa, che arriverebbe intorno ai 20 miliardi, seppur spalmati in oltre un decennio(fino al 2024). Al momento l’Italia, che è un partner di secondo livello degli Usa, ha già speso oltre due miliardi di euro (poco rispetto agli oltre 5 miliardi messi a disposizione dalla Gran Bretagna, partner di primo livello) e da quest’anno la cifra è destinata ad incrementarsi, visto che proprio nel 2012 è in cantiere l’acquisto materiale di 4 esemplari. Nel momento in cui questi aerei, i più onerosi della storia, andranno a regime, la spesa inizierà a lievitare perchè sono da considerare i costi di mantenimento e la gestione degli stessi.
Coloro che hanno salutato con favore questa enorme spesa, l’hanno spesso giustificata con la ricaduta in termini occupazionali; secondo le stime – dir poco ottimistiche- si potranno avere 10mila posti di lavoro grazie a questo investimento, ma le stime più prudenti, e più realistiche, di analisti e sindacati, parlano di un ritorno occupazionale di circa un migliaio di addetti. Anche la celebre testata Wired ha mosso accuse in tal senso, oltre ad individuare diversi difetti che avrebbe il prodotto della Lockheed Martin; il lievitamento dei costi di mantenimento, superiori del 30% alle stime, il basso ritorno occupazionale, e che i velivoli non passerebbero inosservati ai comuni radar, come invece gli Usa volevano far credere.
Ma un’altra facile risposta dei sostenitori di tale spesa ha trovato smentita di recente. C’era infatti chi paventasse il pagamento di una penale salatissima, qualora un Paese si fosse tirato indietro a progetto in corso. Ebbene (come riporta un’inchiesta di altreconomia.it) il “memorandum of understanding”, il documento stilato e firmato dalle varie nazioni, fruibile al sito www.jsf.mil, non prevede affatto alcun onere aggiuntivo per il governo che decida di tirarsi fuori dall'”affare”.
Infatti Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno messo fortemente in dubbio la loro partecipazione al proseguimento di questo progetto, proprio perchè non sono previste penali tali da scoraggiare la rottura dell’accordo. Da noi, è da tempo che si discute di tagliare le spese militari e di destinare altrove soprattutto questo spesa di circa 18 miliardi, inevitabilmente destinati ad aumentare, come per tutte le grandi opere; dalla Salerno-Reggio Calabria alla Tav in Val di Susa, passando per il Ponte sullo Stretto.
Non tutti però sanno che l’attuale ministro della Difesa, l’ammiraglio Gianpaolo Di Paola, è stato colui che ha ordinato la spesa, ed è pertanto quasi impossibile attendersi da lui un dietrofront. La speranza è che il prossimo governo politico, fermi questa spesa assurda e possa destinare questa spesa dove veramente possa essere produttiva, cioè dove effettivamente si possa materializzare un grande ritorno occupazionale. Forse, questo futuro governo, non sarebbe ben inviso agli occhi degli americani, ma di sicuro avrà un grandissimo ritorno elettorale!