Celentano è solo l’ultimo caso. Ciclicamente viene fuori un artista – un uomo di televisione, un autore di teatro, un romanziere, un regista cinematografico… – che parla senza briglia di fede o di religione. E i vertici della Chiesa cattolica, o qualcuno per conto loro, dopo qualche tentennamento, intervengono. E spesso stroncano, criticano, boicottano.
Certo, c’è caso e caso. Bisogna distinguere le provocazioni gratuite da quelle intelligenti, gli attacchi in mala fede dalle libere espressioni artistiche, le licenze poetiche dalla blasfemia o dalle palesi boiate. Sono ben diversi – per limitarsi agli ultimi esempi – la saga di Dan Brown, Habemus Papam di Nanni Moretti e la pièce teatrale Il concetto del volto del figlio di Dio di Romeo Castellucci. Eppure la pulsione che spinge all’attacco alcuni settori ecclesiali sembra la stessa: reagire ad una malintesa idea di lesa maestà.
Sorprende piacevolmente, allora, l’assordante silenzio mantenuto dal Vaticano di fronte al flusso di coscienza che Celentano ha riversato nel festival di Sanremo. Si può pensare che se il molleggiato avesse attaccato non già Avvenire e Famiglia cristiana, ma l’Osservatore romano, la Santa Sede avrebbe protestato eccome. Si può anche, maliziosamente, pensare che il Vaticano è già abbastanza impegnato a tamponare intrighi, fughe di notizie, scontri interni, da non avere tempo di occuparsi pure di Celentano. Personalmente, però, mi piace pensare che gli uomini del papa abbiano fatto tesoro dell’esperienza passata.
Che, in particolare, nel Palazzo apostolico a qualcuno sia tornato in mente quanto accadde quando, nel 1985, Jean-Louis Godard mandò nelle sale cinematografiche Je vous salue Marie, una interpretazione molto libera della figura della Madonna. Giovanni Paolo II fu subito tentato di intervenire. Più di uno uomo di Curia cercò di dissuaderlo. C’è addirittura chi gli spiegò che il film di Godard non aveva affatto intenzioni blasfeme; né l’avevano la nouvelle vague, i Cahiers du cinéma, o André Bazin; che un’opera d’arte non va giudicata con gli stessi criteri di ortodossia di un saggio teologico; che un film d’autore, poi, va considerato più un confessionale che un pulpito. Ma non ci fu niente da fare. L’uomo, del resto, era fatto così: impulsivo, gagliardo, anche un po’ spaccone. E dopo giorni di polemiche attorno al film, con lefebvriani e missini che organizzavano sit-in davanti ai cinema romani, Wojtyla, a fine aprile di quell’anno, inviò al suo vicario per la diocesi capitolina, il cardinale Ugo Poletti, un messaggio a firma dell’allora Segretario di Stato Agostino Casaroli con il quale si univa alla “condanna unanime da parte dei fedeli” romani su un’opera cinematografica che, “trattando temi fondamentali della fede cristiana, ne distorce e calunnia il significato spirituale e il valore storico e ferisce profondamente il sentimento religioso dei credenti e il rispetto per il sacro e per la figura della Vergine Maria, venerata con tanto amore filiale dai cattolici e tanto cara ai cristiani”. Passarono pochi giorni, e Godard ringraziò pubblicamente la Santa Sede per essersi assunta la gravosa funzione di ufficio stampa del film, poiché mai l’autore di culto francese aveva avuto tanti spettatori come dopo la contro-pubblicità di Wojtyla. Ora, certo, paragonare Celentano a Godard non sta né in cielo né in terra. Ma, forse, non è casuale il silenzio adottato questa volta in Vaticano. Silenzio benedetto.