Mentre la neve e il gelo bloccano l’Italia, da Nord a Sud, mettendo a dura prova il sistema delle reti nazionali; mentre il governo tecnico è alle prese con la riforma più difficile e pericolosa, quella del lavoro, i partiti politici, con un lavoro sotterraneo e oscuro di diplomazia, muovono i primi passi verso un risveglio lento e graduale, preludio della campagna elettorale che verrà.
Perchè, nostro malgrado, questo limbo incosciente di tecnici e professionisti, non eletti ma stimati e credibili a livello mondiale, finirà.
E con sé porterà via la competenza e la sobrietà. Di stili, toni e comportamenti.
La Politica, mai rassegnatasi al ruolo di organo ratificante né delle ricette europee né della panacea montiana, non ha mai accettato, volente o nolente, il ruolo di subalterno all’esecutivo. Perchè quest’ultimo ha il dovere e la missione di essere decisionista.
Per troppi anni, il compromesso politico si è nutrito dell’immobilismo e del temporeggiamento.
Rimandando per anni, o peggio non volendo intraprendere neanche, il cammino di riforme necessarie per scuotere il sistema, siamo arrivati a questo punto. Delusi e amareggiati da una classe dirigente incapace, figlia peraltro dell’abisso morale e sociale del paese.
Piaccia o non piaccia, la pausa istituzionale e lo stato di emergenza costituzionale, tutelato da Napolitano e diretto da Monti, ha lusingato gli italiani con la dolce illusione di veder messa nell’angolo la classe politica, che ha messo noi sotto scacco.
L’arma, ormai spuntata e inceppata del consenso, nulla ha potuto, di fronte all’abisso del default, che tutti avrebbe spazzato via.
Il periodo di incubazione, però, sembra finito. Al politico untore non gli si dà più.
Le grandi manovre di avvicinamento e di riorganizzazione sono cominciate.
C’è odore di bicamerali e inciuci. Di strette di mano e di accordi non limpidi.
Gli stessi che, in tempi migliori, si posero come obiettivo il bipartitismo, votando “la porcata”, oggi, contriti e rei confessi, decretano il bisogno urgente di ridare voce ai cittadini. Cambiando la legge elettorale, che avevano votato.
Speranza di migliramento, no. Quella morirà, sul nascere, leggendo le liste elettorali.
Cambiare la legge elettorale è sempre stato un problema. E’ una materia sostanzialmente costituzionale e necessita, per tanto, del più ampio consenso parlamentare possibile. Sarebbe, ma solo in teoria, uno strumento di democrazia partecipativa, se fosse pensato per i cittadini. L’attuale, proporzionale senza preferenze, con premio di maggioranza e liste bloccate, è la versione scorretta della Legge “Truffa” del 1953.
Strettamente collegato al dibattito, è la riduzione del numero dei parlamentari. Associare le due esigenze, sotto il pungolo dell’emergenza e dell’imminenza, renderà il tutto un pastone inservibile.
Ancor più dannoso per i cittadini.
Abbandonare l’attuale sistema proporzionale (s)corretto con premio e liste bloccate, non risolverà i problemi del Mattarellum. Anche se è doveroso, per ridare fiducia ai cittadini e serietà al Parlamento. L’innovazione non può, però, passare né attraverso un recupero integrale del precedente sistema a collegio uninominale, dove il cittadino si trova in una situazione analoga all’attuale, né il vecchio sistema delle preferenze, emblema del voto di scambio.
Il bipartitismo in Italia non può esistere. Movimenti e partitini sono proliferati anche nella XV e XVI legislatura, con la legge Calderoli. Risiede, tutto ciò, nell’ambizione e nella necessità del politico medio di comandare il suo piccolo manipolo.
I cittadini urlano partecipazione e rappresentanza. I partiti, quelli già in Parlamento, consci dell’ondata di astensionismo e del livore dell’anti-politica che li travolgerà, vogliono proteggere, ad ogni costo, i risultati ottenuti o, almeno limitare le perdite.
Le indiscrezioni dell’innalzamento dello sbarramento sono meschine e omicide delle forze non parlamentari. Insomma, governabilità o rappresentanza? La questione si poteva porre in questi termini all’indomani del Porcellum. Oggi, dopo la caduta di Berlusconi, abbiamo constatato che nessun premio di maggioranza può assicurare la totale e continua governabilità.
Infine, la riduzione del numero dei parlamentari. Attenti italiani, è una trappola! Dietro ai giusti propositi – per ora solo parole vuote- di riduzione dei costi, si nasconde un’insidia pericolosissima. C’è il rischio che la Politica diventi “un’affaire” per pochi e non buoni, ancor più scollati e meno rappresentativi dei cittadini. Riducendo il numero dei seggi disponibili e del rapporto eletto/numero di elettori, non ci sarà spazio per la democrazia partecipativa, né per le istanze dei cittadini.
Saranno eletti solo i caporioni e i luogotenenti di partito. I reggitori delle fila, che non possono perdere la matassa.
Il posto sarà solo per quella sparuta nomenklatura, che vive per autoconservarsi. Addio ricambio generazionale, addio meritocrazia e professionalità.
Partiti che fagocitano e distraggono soldi pubblici; partiti scatole vuote feudo personale dei leader; partiti di lobbies e lobby partitiche di nominati e dequalificati. Contro cittadini espropriati di tutto.