“Sottoscrivi un minimo di cinquanta euro. Se convinceremo abbastanza cittadini ad andare a votare, te li restituiremo”. Questo era l’invito, attraverso uno spot, del Comitato promotore per il sì ai referendum per l’acqua pubblica che, quasi un anno fa, esortava i cittadini a sostenere le spese della campagna informativa.
Ogni promessa è debito. O almeno così dovrebbe essere. Anche se, quando ci sono di mezzo la politica e il denaro, sappiamo che, invece, così non è quasi mai.
In fondo, l’Italia è la patria di Francesco Guicciardini, il teorico del particulare, cioè dell’individualismo e del tornaconto personale. E noi a queste cattive pratiche, in fondo, ci siamo un po’ assuefatti.
Eppure oggi, alla luce del raggiungimento del quorum e ricevuti i rimborsi elettorali, il Comitato sta iniziando davvero a mantenere quell’impegno, restituendo il denaro a coloro che lo avevano versato.
E ad accogliere l’invito, mettendo mano al portafoglio, in quella campagna elettorale iniziata dal basso, erano stati in tanti.
Ognuno aveva contribuito dando ciò che poteva: chi cinquanta, chi cento, chi addirittura mille euro, tutti consapevoli che se il quorum non fosse stato raggiunto, non avrebbero potuto riavere indietro nulla.
In un Paese come il nostro, in cui l’ex tesoriere di un partito politico è accusato di essersi impadronito di tredici milioni di euro provenienti da rimborsi elettorali, una notizia del genere non può che rincuorare.
E per un Lusi che ci ha delusi, coltiviamo invece la speranza che mantenere una promessa non sia poi fantascienza.