Che pagare le tasse fosse bellissimo, come affermò nel 2007 l’allora ministro dell’Economia Padoa-Schioppa, nessuno lo ha mai realmente creduto.
Pagare le tasse non è bello ma è giusto.
Ogni Stato democratico si regge sul patto morale che obbliga i cittadini a pagare le imposte e lo Stato a spenderle con scrupolo e coscienza. Ma quello stesso patto implica, tacitamente, che le tasse siano eque e che, ad ogni tributo, corrisponda un servizio.
A tale proposito, chissà cosa avranno pensato i commercianti di Cagliari quando si sono visti recapitare un avviso di pagamento in cui gli veniva richiesta la riscossione di un particolare balzello: la “tassa sull’ombra”.
Si tratta dell’interpretazione ampia (e piuttosto eccentrica) dell’occupazione del suolo pubblico. In pratica, tutti i negozianti sono vincolati al pagamento della tassa sull’ombra che le loro insegne, o eventuali tende parasole, proiettano sul marciapiede.
Naturalmente la notizia ha immediatamente scatenato un vespaio di polemiche, oltre all’indignazione degli esercenti, a cui ha fatto seguito l’amara incredulità degli italiani.
In realtà la “tassa sull’ombra” non è una novità. Fu istituita nel 1997, nonostante non venga quasi mai applicata, e si aggiunge all’elenco di una serie di altre strampalate imposte. Su tutte, ne ricordiamo due: la “tassa sul tricolore”, imposta a chi esponga sul proprio davanzale la bandiera italiana e la “tassa sui gradini”, dovuta da chi abbia i gradini d’ingresso della sua abitazione su una strada pubblica.
Mentre i commercianti cagliaritani si stanno adoperando per evitare il pagamento di questa tassa imprevista, noi aspettiamo di sapere come andrà a finire questa italica vicenda.
Nell’attesa, però, sorge una domanda legittima: e se, in fondo, avesse ragione chi ci invita a non fidarci più nemmeno della nostra stessa ombra?