Nella Roma dei poteri forti, il rettore dell’università La Sapienza Luigi Frati, se ancora non è tale, sicuramente è una potenza.
Dal 3 ottobre del 2008, giorno in cui Luigi, il capo famiglia, fu investito ufficialmente della carica di Rettore dell’ateneo più grande d’Italia, Frati non ha requie né tranquillità.
Non solo per l’annoso onere di dover reggere una città universitaria, ma anche per l’altrettanto gravosa responsabilità di dover sistemare una famiglia. La propria.
E questo sicuramente non ha giovato allo svolgimento dell’attività professionale e didattica del perseguitato nucleo familiare.
Una dinasty all’amatriciana, che, nell’Ateneo romano, sembra avere trovato l’ambiente ideale dove esprimere le proprie capacità e competenze. Dove mettere radici, insomma.
A destare le prime perplessità, inizialmente, fu l’assegnazione della cattedra di Storia della Medicina a Luciana Rita Angeletti in Frati, già insegnante di scuola superiore con tanto di laurea in lettere.
Di certo un caso e, sicuramente, frutto della preparazione e degli sforzi individuali, che nella stessa facoltà di Medicina, dove il marito Luigi dal 1990 era preside e docente di Patologia generale, e proprio all’indomani della sua elezione a Rettore, venga assegnato a sua moglie la docenza di ruolo.
Il Rettore Frati non ha solo una moglie eccezionale, come hanno ricostruito Federica Angeli e Fabio Tonacci sulla cronaca romana di Repubblica e oggi documenta, dalle colonne del Corriere, Gian Antonio Stella. Ha anche due figli straordinari.
Che solo per fatalità sono, entrambi, entrati nella facoltà di Medicina. Giusto un attimo prima che entrasse in vigore la riforma Gelmini, la quale vieta di assumere come docenti nella stessa università i parenti dei rettori, dei direttori generali e dei membri del consiglio di amministrazione.
Quando si dice tempismo.
Ritorniamo, però, ai figli di papà Luigi e mamma Luciana.
La prima, Paola, dopo una laurea in Giurisprudenza, entra di ruolo a Medicina Legale; il secondo, Giacomo, ha dovuto, a differenza della mamma e della sorella, affrontare ben più ardui ostacoli, prima di ricoprire il ruolo di direttore de l’Unità Programmatica Tecnologie cellulari-molecolari applicate alle malattie cardiovascolari» nell’ambito del dipartimento Cuore e grossi vasi.
La storia professionale di Giacomo, oltre ad essere la più avvincente e sbalorditiva, ha suscitato, di recente, l’attenzione della magistratura romana, che sulla sua nomina ha aperto un’inchiesta giudiziaria.
Le malelingue dicono che a creare la struttura, che ora Giacomo presiede, sia stato il neo direttore generale del Policlinico, Antonio Capparelli, nominato dal papà di Giacomo stesso.
Luigi padre sistema Capparelli e questi il figlio Giacomo.
Anche il figlio, cardio-chirurgo, già professore associato è troppo. Anche per un paese, come il nostro, anestetizzato da anni di demerito e illegalità. Si capisce la predisposizione e l’abitudine italiana per il malaffare, nonchè la tensione di un padre al meglio per i proprii figli. Però, a Roma, si esagera!
Polemiche, inchieste giudiziarie pendenti e ricorsi al Tar a parte, a parlare male della Sapienza sono i dati del Academic Ranking of World Universities elaborato dall’Institute of Higher Education della Jiao Tong University di Shanghai secondo il quale, sulla base di sei parametri, la Sapienza si collocherebbe nel gruppo di Atenei tra il 100° il 150° posto. Se il calcolo dei parametri – numero di studenti vincitori di Premi Nobel e Medaglie Fields; numero di Premi Nobel in Fisica, Chimica, Medicina ed Economia e di medaglie Fields presenti nello staff; numero delle ricerche altamente citate di docenti, ricercatori, studenti; numero di articoli pubblicati su Nature e Science nel quinquennio precedente la classifica; numero di articoli indicizzati nel Science Citation Index e nel Social Science Citation Index; rapporto tra allievi/docenti/ricercatori e il punteggio complessivo relativo ai precedenti parametri – viene fatto, riporta Stella sul Corriere, in base al numero di studenti i dati cambiano. E di molto.
Con 143 mila studenti iscritti – tanti quanto una città di medie dimensioni della provincia italiana – si colloca al 430° posto. Un po’ bassino per la storia accademica e culturale del nostro Paese.
L’esempio della famiglia Frati non è che uno dei tanti emblemi del nepotismo universitario, che imperversa negli atenei, pubblici e privati, del Paese. Da Nord a Sud.
Rivendicare meritocrazie, trasparenza e legalità è doveroso, ma si sa, in Italia, la famiglia viene prima di tutti…gli altri.
Nell’Università italiana, dove c’è solo spazio per il demerito e il nepotismo baronale, il declino incombe.