“Non sono un goleador. Gioco con il numero 10 e so passare bene il pallone ai compagni. Qualche gol lo realizzo anche, ma non molti“.
Il suo nome é François Zahoui, anche se per tutti – anni fa, nel nostro paese, all’epoca in cui pronunciò queste parole – era semplicemente “Zigulì”.
Fu Costantino Rozzi, compianto presidente dell’Ascoli, a portarlo giovanissimo in Italia nell’estate del 1981 poco tempo dopo la riapertura delle frontiere: si trattò del primo calciatore africano ad arrivare nel Belpaese, in mezzo ai tanti campioni che facevano sognare i tifosi del pallone. La città marchigiana lo adottò immediatamente, nonostante fosse chiaro sin dall’inizio che il suo apporto sarebbe stato più d’immagine che non di sostanza. In due stagioni totalizzò la miseria di undici presenze, delle quali una soltanto dal primo minuto: il minimo sindacale (così come lo stipendio che percepiva: dodici milioni di lire annui), giustificato dal ruolo che Carlo Mazzone – il suo tecnico – gli aveva costruito (quello di perdere tempo nei finali di gara).
Sul suo conto sono state raccontate leggende, bugie, aneddoti e verità curiose: di certo, e chi ha avuto la fortuna di godersi quei campionati lo può testimoniare, c’è che la sua figurina da attaccare sugli album della Panini era tanto introvabile quanto ambita dai collezionisti. Da meteora a bidone, i giudizi che lo accompagnarono dopo il suo addio all’Italia furono spietati: dal canto suo, ancora oggi ricorda con affetto quell’esperienza e le persone conosciute.
Nel giorno dell’esordio di Cesare Prandelli alla guida della nazionale azzurra (Londra, 10 agosto 2010) Zahoui si trovava seduto sulla panchina della Costa d’Avorio, l’avversario di quell’amichevole: era un commissario tecnico a tempo determinato, più o meno sulla falsariga di quanto gli era capitato da giocatore ai tempi dell’Ascoli. Condusse i suoi uomini ad una storica vittoria (1-0, rete di Kolo Touré), per poi ottenere la conferma nel ruolo. Tutto ad un tratto sembrava che avesse finalmente dato un calcio alla sfortuna, a quel ruolo da comparsa che – ovviamente – non gli si addiceva.
Passando dalla storia alla cronaca si arriva sino alla recente finalissima della Coppa d’Africa, dove ha portato la Costa d’Avorio ad un passo dal trionfo, sconfitta ai rigori dallo Zambia. Per un soffio, pur partendo da favorito, ha perso un’altra occasione per entrare nella leggenda del calcio da protagonista. Tutto è successo nel momento stesso in cui la poesia e lo sport, per una volta, sono andate di pari in passo: a Libreville, a distanza di pochi metri rispetto al luogo dove è stata disputata la partita, nell’aprile del 1993 subito dopo il decollo era precipitato il volo che avrebbe dovuto portare la nazionale zambiana (i “Chipolopolo”, così come vengono chiamati) a Dakar, per affrontare il Senegal in un incontro valevole per le qualificazioni ai mondiali americani del 1994.
Nella tragedia scomparvero trenta persone, tra le quali i diciotto calciatori convocati dal selezionatore. Tutto questo accadde diciotto anni fa. Lo Zambia si è aggiudicato il trofeo ai rigori, dopo aver concluso 0-0 i tempi regolamentari: dopo quanti penalty è stata assegnata la Coppa? Diciotto. La Costa d’Avorio ha concluso la manifestazione senza aver subito un goal: nelle ultime tre edizioni la propria porta era stata inviolata soltanto diciotto volte.
Kalusha Bwalya, scampato al disastro aereo (non era presente) e protagonista del 4-0 con il quale la sua nazionale olimpica sconfisse l’Italia a Seul nel 1998, oggi è vicepresidente federale: é lui l’anello di congiunzione tra due epoche lontane tra loro, e separate soltanto dalla sfortuna.
Da Libreville a Libreville, nella commozione generale i nomi dei dispersi si sono uniti a quelli dei giovani neo campioni d’Africa. Seduti o inginocchiati sul campo, quest’ultimi pregavano alla loro memoria. All’appello ne mancava uno, Musonda, infortunatosi durante la contesa e successivamente portato in braccio dal suo allenatore Hervé Renard laddove si trovavano i compagni.
Il tecnico, francese, ha la carnagione bianca ed é realmente difficile non accorgersene: deve essere stato facile anche per Luis Suarez (Liverpool) e John Terry (Chelsea), recentemente assurti agli onori della cronaca per episodi di razzismo legati al mondo del calcio.
A François Zahoui è sfuggita dalle mani un’occasione importante, è vero, ma un primo risultato l’ha ottenuto: per gli appassionati italiani non è più soltanto “Zigulì”. Prima o poi arriverà, anche per lui, il momento di raccogliere quanto di buono ha seminato nel corso degli anni: ora, però, c’era un’altra storia da raccontare.