Come da copione, dopo le reiterate, quanto giustificate richieste dei professionisti e delle imprese, è arrivata l’ufficializzazione della proroga da parte dell’Agenzia delle Entrate: il termine per la presentazione della prima comunicazione telematica dei beni d’impresa in godimento o in uso ai soci e ai familiari dei soci, inizialmente previsto per il 31 marzo 2012, è slittato al 15 ottobre 2012 (si veda “Comunicazione dei beni ai soci al 15 ottobre” di oggi).
Solo per rimanere all’interno della categoria dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, principali “spedizionieri” delle molte, troppe dichiarazioni e comunicazioni telematiche imposte dal Fisco italiano, la richiesta di una proroga era stata formalizzata dapprima dall’Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, poi dall’UNAGRACO e, da ultimo, dall’Ordine di Milano.
Una decisione inevitabile, posto che l’ennesimo indispensabile adempimento telematico, introdotto in questo caso la scorsa estate, non risultava ancora accompagnato dalla messa a disposizione delle opportune istruzioni operative e del relativo software, nonostante mancassero ormai meno di venti giorni all’originaria scadenza.
Insomma, sul punto, l’Agenzia delle Entrate è stata un po’ latitante, almeno quanto è stata presenzialista su altri fronti. Capita, per carità: qualsiasi organizzazione, comprese quelle efficienti, presenta talvolta le sue brave smagliature ed i suoi colli di bottiglia. Da tempo, giustamente, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili chiede che le scadenze fiscali vengano previste ab origine con una “clausola di salvaguardia” che ne determini l’automatico differimento, nel caso in cui software, modulistica e istruzioni non vengano resi disponibili entro un prestabilito numero di giorni prima. Il tema è stato posto più volte negli anni anche con riferimento alle tempistiche di rilascio del software degli studi di settore, rispetto alle scadenze per il versamento del saldo delle imposte sul reddito di imprese e lavoratori autonomi.
Ciò detto, tornando allo specifico caso della comunicazione dei beni d’impresa in godimento o in uso ai soci e ai loro familiari, sorge un più che legittimo dubbio: se questa ennesima comunicazione telematica consente davvero all’Amministrazione finanziaria di entrare in possesso di informazioni fondamentali per una efficace lotta all’evasione, come peraltro affermato in replica alle comprensibili lamentele dei contribuenti gravati dal nuovo onere, non è che questo ritardo nella loro acquisizione produrrà un danno alla collettività?
In altre parole, delle due l’una: o questo ennesimo adempimento vale, in termini di lotta all’evasione, meno del disagio e degli oneri che determina in capo ai contribuenti; oppure questo adempimento è realmente importante e prezioso per sconfiggere l’evasione fiscale.
Nel primo caso, una proroga non è la fine del mondo, ma siamo di fronte all’ennesima “molestia inutile” al cittadino contribuente, o quanto meno all’ennesima molestia non sufficientemente utile da giustificarla.
Nel secondo caso, invece, nulla quaestio sull’adempimento, ma, proprio per questo, una sua proroga implica un ritardo di altrettanti mesi del valore aggiunto che esso può offrire alla lotta all’evasione.
Un ritardo, quindi, che produce un danno alla collettività (un danno erariale, in gergo tecnico) e di cui, a rigor di logica, dovrebbe rispondere chi, con il ritardo nel rilascio degli strumenti operativi, se ne è reso direttamente o indirettamente responsabile. È un fatto che, quando il contribuente buca una scadenza, viene sanzionato. Possibile che, se una scadenza viene bucata a causa di ritardi nel rilascio di istruzioni operative e nell’implementazione dei correlati software, si dia addirittura per scontato che non debba pagare nessuno?
Il punto non è negare i molti meriti, evidenti, dell’Agenzia delle Entrate per quanto fa di buono, ma riconoscere con pari serenità, quando si manifestano, le manchevolezze altrettanto evidenti. Solo così si può trasmettere al cittadino la sensazione di trovarsi in un contesto in cui doveri e responsabilità senza appello valgono realmente per tutti e non soltanto per alcuni.