Nel secondo semestre 2011, Berlusconi prima e Monti poi hanno confezionato un aumento di 2,6 punti percentuali di pressione fiscale. C’era da salvare l’Italia, ma forse è più giusto dire che c’era da salvare l’Italia così come si trovava.
L’Italia dei mille parlamentari e della moltitudine di assessori e consiglieri regionali.
L’Italia della corruzione dilagante negli incarichi pubblici.
L’Italia dei superstipendi degli alti dirigenti pubblici e degli ottimi stipendi, paragonati a quelli del settore privato, dei dirigenti intermedi.
L’Italia della galassia di partecipate pubbliche e dell’opacità amministrativa.
L’Italia dei rimborsi elettorali dei partiti e dei ristorni di fondi pubblici alle fondazioni private dei vari big sulla breccia da oltre vent’anni.
Per salvare tutto questo, ma al contempo raggiungere il pareggio di bilancio, è stato inevitabile un salasso fiscale, gran parte del quale, peraltro, lo sentiremo concretamente solo a partire da giugno 2012: ebbene sì, il peggio deve ancora venire. Messa la toppa e garantita la salvezza di quell’Italia, si è iniziato a pensare a come far crescere l’altra Italia, quella dell’economia privata. Perché, anche se l’obiettivo principale è stato, evidentemente, a posteriori, salvare quell’Italia, tornerebbe comodo a tutti, anche a quell’Italia, se l’altra Italia, nonostante tutto, crescesse un po’.
Si è partiti con le liberalizzazioni, ma poi, al netto di alcune incaute e trionfalistiche affermazioni iniziali del Governo, si è preso atto che le liberalizzazioni, da sole, non possono fare il miracolo: sono moltiplicatori, non fattori di crescita e, se il fattore di crescita sta a zero, zero per mille è comunque uguale a zero.
Si è quindi passati alla riforma del mercato del lavoro, ma anche qui, con la quadratura del cerchio ancora tutta da trovare, il Governo già comincia a mettere le mani avanti: questa riforma, di per se stessa, non può certo garantire il rilancio dell’occupazione. A breve toccherà alla riforma del sistema fiscale, la cui bozza di delega è in discussione in Consiglio dei Ministri in questi giorni (si veda “Pronta una nuova delega per la riforma fiscale” di ieri).
Una bozza che non prevede alcun tipo di riduzione delle imposte (nemmeno l’IRAP), semmai ne prevede di nuove (imposte ambientali per favorire la green economy) e per il resto formula vaghe promesse di restituzione dei maggiori introiti derivanti dalla lotta all’evasione fiscale, tema su cui la bozza si concentra in larga parte.
Tra il 2000 e il 2008, la spesa pubblica è cresciuta del 20% Inutile dire che, quando arriverà il momento, verrà precisato che una riforma fiscale con queste caratteristiche, di per se stessa, può razionalizzare il prelievo e magari renderlo più equo, ma certamente non può rilanciare l’economia. Dai e dai, a qualcuno verrà in mente che, per poter riprendere un percorso di crescita economica di questo Paese, sia necessario intervenire sul suo settore pubblico e parapubblico che non funziona, invece che sul suo settore privato che, nonostante una simile zavorra, ancora riesce a non collassare del tutto?
Dal 2001 al 2008, la spesa pubblica è cresciuta in termini reali di oltre il 20%: basterebbe riportare le lancette all’anno 2000, aggiornato con l’inflazione, e avremmo le risorse per fare qualsiasi cosa.
Non vi è da stupirsi che, per quanto accaduto sino ad oggi, il Governo tecnico abbia il pieno sostegno dei partiti, delle istituzioni e, in senso più ampio, dell’establishment. Vi sarà da stupirsi se, in assenza di questo auspicabile cambiamento di rotta, il Governo tecnico avrà domani il sostegno della gente.
Da Eutekne.info