Quando si riflette sullo sviluppo molti rispondono proponendo Latouche.
Il rischio di trasformare la discussione su crescita/decrescita in una disputa teologica è certamente alto. Forse non sarebbe sbagliato provare a battere una strada diversa e partire da una diversa premessa come suggerisce Pierluigi Ciocca prima sulla “Rivista di storia economica,” e poi, come sinteticamente ha provato a dire sulle pagine de “Il Manifesto” il 22 febbraio scorso.
Mi sembra, tuttavia, che la sua riflessione richieda lo sforzo di abbandonare troppe certezze per essere di conforto a chi gli chiede di uscire dalla diatriba “intorno a Latouche”. In breve richiede di “essere orfani”. Se molto si può dire dei sostenitori di Latouche, non mi pare che si possa dire che siano disposti ad essere orfani.
Dunque che cosa sostiene Ciocca?
La tecnologia per consumare e produrre non causando danni ambientali, scrive Ciocca, è disponibile. Certamente può essere sviluppata. Richiede risorse, investimento di almeno un punto percentuale del mondiale del reddito (Nicholas Stern, Clima è vera emergenza, F. Brioschi, Milano 2009) per un circa un quarantennio. Ma convincere una generazione a investire annualmente mille miliardi ogni anno al fine di tutelare l’ambiente, significa che l’economia deve crescere a un ritmo di almeno il 2 per cento annuo.
Perché questo sia possibile scrive Ciocca: Occorre l’intervento della politica. La politica da attuarsi deve combinare l’azione diretta con quella indiretta, che volga il mercato ai propri fini. Dev’essere nazionale e sovranazionale. Deve articolarsi in un complesso organico di strumenti e di obiettivi intermedi: moderare la crescita e prevenire l’inflazione; promuovere la concorrenza e l’informazione nei mercati rilevanti; estendere i diritti di proprietà estendere i diritti proprietà sulle risorse ambientali; internalizzare le esternalità negative con la tassazione e con i diritti negoziabili di (limitato) inquinamento; scoraggiare l’innovazione inquinante e incoraggiare l’innovazione disinquinante; diffondere la cultura dell’ambiente presso i consumatori e i produttori” (p. 309).
Ma tutto questo ha una premessa che Ciocca non manca di sottolineare. Che appunto occorre più sviluppo e più crescita e che questa condizione ha un punto di origine: il sistema capitalistico non presenta alternative. A dimostrazione che crescita e decrescita non sono “tecniche”, ma sono connesse a una cosa che si chiama mercato e che il gioco non è diminuire da una parte e indirizzare da un’altra, ma è molto più complicato e, contemporaneamente, sottoposto a vincoli ineludibili.
E qui anche i volonterosi sostenitori di Latouche smettono di ascoltare. Diventare orfani è crescere in un mondo “grande e terribile”. Meglio le pareti domestiche del “piccolo è bello”.