Città invisibiliI Bronzi di Riace, “wonderful bronzes” (quasi) dimenticati

L'informazione per sua natura documenta quel che ha precedentemente selezionato. Sulla base di criteri che rispondono ad esigenze diverse. E' così anche per quel che riguarda l'onnicomprensiva gala...

L’informazione per sua natura documenta quel che ha precedentemente selezionato. Sulla base di criteri che rispondono ad esigenze diverse. E’ così anche per quel che riguarda l’onnicomprensiva galassia dei Beni Culturali. A finire sotto la lente indagatrice, e quindi ad avere la possibilità di essere amplificate, sono alcune questioni, specifiche criticità. Verrebbe da dire, con un robusta dose di ironia, le più fortunate. Se non fosse che la “notizia” nella maggior parte dei casi testimonia un disservizio, un guasto, un lamento. Insomma un caso di segno negativo. Ma intanto una serie infinita di casi analoghi, su e giù per l’Italia, dalle grandi città ai piccoli centri, si consuma. Quasi in silenzio. Magari nello sdegno di pochi addetti ai lavori.

I riflettori si accendono ora sui Bronzi di Riace, le due statue di bronzo, riferite al Vi secolo a. C., scoperte casualmente nel mare di Riace, in provincia di Reggio Calabria, nell’agosto del 1972. “Le più belle statue greche di bronzo del mondo, al punto che neppure al museo di Atene c’è niente di simile”, ebbe a dichiarare Salvatore Settis, studioso di riconosciuta fama internazionale. Eppure quei capolavori della bronzistica antica si trovano nel grande androne di palazzo Campanella, sede del Consiglio calabrese dal 2009. Provvisoriamente, in attesa che la ristrutturazione del Palazzo, progettato da Marcello Piacentini, nel quale era ospitato il Museo Nazionale della Magna Grecia fosse completato. In tempi ridotti. Secondo previsione entro marzo del 2011, in tempo per la proclamazione delle celebrazione dell’Unità alla presenza del presidente Napolitano. Invece, ancora niente.

Il clamore del recupero, i primi interventi curati dai restauratori del Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, ancora il restauro presso l’Opificio delle Piere Dure di Firenze e poi finalmente le file interminabili dei visitatori accorsi prima al Museo Archeologico del capoluogo toscano e poi ai Palazzi del Quirinale, a Roma, sono un ricordo. Sbiadito già quando nel 1995 le due statue, dopo il ricorso ad un ulteriore intervento a seguito del verificarsi di alcuni fenomeni degenerativi delle superfici, fecero il loro ingresso nella grande sala del Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, loro sede naturale. Sbiadito come indiziano meglio di altro i dati sull’affluenza, il numero dei visitatori. Nel 2008 130.000 dei quali, però, solo 50.085 a pagamento. Numero calato ulteriormente nel 2009. Cifre senza ragione, inspiegabili, soltanto se non si guarda l’intera questione uscendo da quella sala all’interno del Museo e non si analizza l’“intorno”, non si considerano i collegamenti esistenti per raggiungere la città reggina. Collegamenti aerei e ferroviari scarsi e scadenti, autostrada Salerno-Reggio ancora piena di incognite.

Ma intanto mentre quel patrimonio dell’umanità, quali debbono essere considerati i due bronzi, nella sua fisicità, languiva, quasi dimenticato, nel Museo della città, il loro appeal, per altri versi non sembrava scalfito. La loro immagine continuava ad esercitare fascino, ad attrarre. Come dimostra il suo utilizzo per promuovere cose, quasi di ogni tipo. Dal turismo in Calabria ad auto della Renault, fino ad un marchio di uova.

Nel frattempo il Museo chiudeva per l’annunciato restyling e le statue venivano traslocate a palazzo Campanella. Provvisoriamente, si diceva. Invece i febbrili lavori al Museo si sono interrotti al momento in cui i 18 milioni di euro iniziali sono finiti e l’impresa si é trovata in rosso per 6 milioni senza garanzie sul recupero di quelle cifre. Ecco spiegato lo slittamento della riapertura. Prima maggio 2011, poi l’autunno dello stesso anno, quindi il 2012 ed ora chissà quando. La notizia che la Regione avrebbe intenzione di erogare 5 milioni di euro per chiudere finalmente l’infinito cantiere, come si sarebbe fatto garante anche il ministro Barca, restituisce una speranza. Anche se, al termine dei lavori dovrà seguire la fase del nuovo allestimento. Insomma é più che probabile che il nuovo Museo non aprirà le porte prima del prossimo autunno. “Anniversario” del francobollo che ne celebrava la riapertura.

La questione ripropone un’annosa querelle che non riguarda soltanto i due Bronzi e che ruota sull’utilizzo dell’opera d’arte. Sulla sua considerazione come “bene” inalienabile, anche provvisoriamente, dal territorio di provenienza o in alternativa come Bene Comune. Dunque di tutti e per questo da far viaggiare, da esportare, in giro per il mondo, se possibile.

Tanto più, e si torna all’inizio del ragionamento, che non tutte le opere “italiane” hanno la medesima visibilità degli atleti di Riace, che, con il loro appeal, hanno la possibilità di fare ancora notizia. Un esempio per tutti per provare a capire meglio. Alla chiusura, nel 2009, del Museo reggino, mentre i Bronzi venivano trasportati ed esposti a Palazzo Campanella, la maggior parte delle collezioni finivano in un deposito. Lontane dagli occhi di studiosi o semplici curiosi Per questo, anche per questo, una consapevole, provvisoria, esportazione di cultura, di civiltà, non sarebbe un sacrilegio, una folle dismissione. Piuttosto permetterebbe di far conoscere agli altri quel che nel nostro Paese spesso non si conosce, di far apprezzare quel che, non di rado, qui, non si è nelle condizioni di apprezzare. Anche per rivendicare quel che siamo stati, a lungo. E che invece, non siamo quasi più.

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