A guardarli da lontano, sembrano due papi, con due agende diverse, che delineano due pontificati diversi. Il primo pontificato, in quest’ottica, si è concluso ieri. Con l’incontro in Vaticano tra il superiore dei lefebvriani, mons. Bernard Fellay, e i vertici della congregazione per la Dottrina della fede. E la consegna al leader degli ultratradizionalisti scismatici di quello che se non è un ultimatum, è un penultimatum. La risposta inviata da Econe, quartier generale svizzero dei seguaci di monsignor Marcel Lefebvre, alle condizioni dottrinali poste dalla Santa Sede per il pieno reintegro nella comunione ecclesiale è “insufficiente”, ha scritto il cardinale William Levada in una lettera approvata da Benedetto XVI e consegnata brevi manu a Fellay, e i lefebvriani hanno ora “un mese di tempo” per scegliere se rinunciare al loro oltranzismo o rimanere fuori dalla Chiesa cattolica. E’ possibile, ora, che la galassia integrista – legata, soprattutto Oltralpe, al nazionalismo sciovinista – si spacchi. Che una parte dei lefebvriani, capitanati da Fellay, decida di far ritorno alla comunione con Roma, come già avvenuto in passato per altri gruppuscoli tradizionalisti, e altri rimangano fuori, assieme a conclavisti e sedevacantisti. E’ probabile che la fronda anti-romana conquisti la maggioranza. E’ sicuro che l’affaire lefebvriano è giunto all’ultimo atto. E, con lui, quello che può sembrare il primo pontificato di Benedetto XVI.
Quel pontificato iniziò il 29 agosto del 2005, a pochi mesi dall’elezione di Ratzinger al soglio di Pietro, quando il nuovo papa ricevette proprio Fellay a Castel Gandolfo. Da cardinale, Joseph Ratzinger aveva trattato per conto di papa Wojtyla la ricucitura dello strappo di monsignor Lefebvre. Senza successo. Una volta eletto papa ha profuso energie enormi nel portare a compimento l’opera interrotta. Con una serie di decisioni capitali che hanno delineato profilo e teologia del suo pontificato. Nel 2007 ha liberalizzato il messale pre-conciliare, la cosiddetta messa in latino, tanto cara ai lefebvriani. Nel 2009 ha tolto la scomunica in cui erano incorsi nel 1988 Fellay e gli altri tre vescovi ordinati da Lefebvre, con tanto di esplosione polemica, da parte del mondo ebraico, degli episcopati di mezzo mondo, nonché di leader politici del calibro di Angela Merkel, per il negazionismo della shoah di uno di essi, il britannico Richard Williamson. Poi ha incaricato il cardinale William Levada e il monsignore triestino Guido Pozzo, segretario della pontificia commissione Ecclesia dei, di condurre con la controparte lefebvriani due anni di colloqui dottrinali per suturare lo scisma. Un programma di governo che andava ben oltre l’esiguità numerica della fraternità sacerdotale San Pio X (questo il nome ufficiale dei lefebvriani) e punta, facendo leva su di essa, a ricomporre le fratture teologiche, ecclesiologiche e politiche innescate in seno alla Chiesa cattolica mondiale dalle interpretazioni divergenti del Concilio vaticano II (i lefebvriani ne contestano da sempre le aperture nei campi dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso, del ruolo dei laici). Quel programma di governo resta valido, per Ratzinger, ma ora viene a mancare, con la conclusione del capitolo lefebvriano, la più evidente leva per realizzarlo.
Nel frattempo ha preso sempre più corpo quello che può sembrare un secondo pontificato. Forse lo stesso Benedetto XVI non lo aveva previsto (sebbene nelle meditazioni per la Via crucis del 2005 al Colosseo l’allora cardinale prefetto della congregazione per la Dottrina della fede denunciò la “sporcizia” presente nella Chiesa cattolica). Nel corso degli anni sono esplosi, sotto lo sguardo di papa Benedetto XVI, scandali che affondano le radici negli anni del pontificato precedente, quello di Giovanni Paolo II: la pedofilia, a partire dal caso dei fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel, gli immobili di Propaganda fide utilizzati come merce di scambio favori con il mondo politico italiano, i torbidi giri finanziari legati allo Ior. L’agenda del pontificato è stata modificata dagli eventi, le priorità sono cambiate, e papa Ratzinger ha reagito con una crescente linea di fermezza e trasparenza che ha dato fastidio a molti nella Curia romana. Le carte si sono rimescolate. Chi puntava a Benedetto XVI per un pontificato trionfante, si è ritrovato un pontificato penitenziale. Chi sperava in una restaurazione cattolica ha tentato di gridare al complotto anti-cattolico ma è stato smentito da un pontefice che indicava nel peccato dei fedeli il vero nemico della Chiesa. Chi pensava che Ratzinger avrebbe configurato il suo pontificato conservatore nel segno dei lefebvriani ha scoperto che gli scandali che hanno investito il Vaticano, paradossalmente, hanno stagliato un pontificato riformista nel segno della purificazione. Come se Ratzinger non fosse più Ratzinger. Come se ci fossero due pontificati. Che, invece, sono un unico, sfaccettato pontificato, di un uomo di Chiesa che, proprio perché conservatore, non transige su chi scandalizza i credenti e tradisce la fede cattolica romana. Con buona pace delle contrapposte tifoserie.