Perché?
Perché c’è un bambino di un anno e mezzo che corre ogni sera incontro a suo papà quando torna dal lavoro con il sorriso più meraviglioso del mondo e con gli occhi pieni di affetto, totalmente ignaro della vita e straordinariamente puro.
E quel papà non sempre ricambia quel dono con lo stesso slancio di affetto, vuoi perché è stanco dopo una giornata di lavoro, vuoi perché ha altri pensieri per la testa.
Quel papà, insieme a tutti i genitori che si comportano in maniera simile, vanno rimproverati.
Parentes obiurgatione digni sunt.
Gli occhi di un figlio che corre alla porta al suono di un campanello inciampando nel pigiamino un po’ fuori misura, senza sapere ancora esprimere con la parola i propri pensieri, ma con un ripetuto, esatto e ben scandito, «pa-pà, pa-pà», mentre con il piccolo dito indica stupito un mazzo di chiavi, sono a ben vedere la cosa più bella che quella giornata ha regalato a quel distratto papà.
Quest’ultimo si è dimenticato, dopo che le carte e le scadenze del suo lavoro lo hanno fagocitato, che la vita gli ha concesso una fonte di affetto inesauribile, incondizionato, gratuito. Che merita e che deve ricevere sempre il più spassionato amore che un uomo è in grado di dare.
Soprattutto perché il papà in questione è stato figlio pure lui e, negli ultimi anni, senza mezzi termini, ha addirittura espresso severe critiche ai propri genitori, evidenziando alcune (alla fine, lievissime) mancanze di cui costoro si sarebbero resi “colpevoli” nel percorso educativo. Cioè è molto più veloce a ricordarsi di rimproverare i propri genitori, piuttosto che rendersi conto che adesso è “lui” un genitore, sicuramente non perfetto e che ha tantissimo da imparare.
Ma quale è la strada giusta per educare un figlio? Quando dire di sì? E quando invece no? Questo mistero mi pare enorme.
Un ultimo dettaglio.
Il bambino che corre alla porta la sera si chiama Davide.
Il papà distratto sono io.
Χαίρε
Marco Sartori