La dieta Dukan promette grandi risultati in poco tempo. Risolve leviga tonifica. Come per altre diete, della cipolla, del minestrone o del cavolo, il risultato promesso dovrebbe arrivare concentrandosi esclusivamente sui pochi alimenti consentiti. Nel caso della Dukan, quasi esclusivamente proteine.
È, credo, per questo riduzionismo e per l’iperfocalizzazione dell’approccio che da un po’ di tempo, ogni volta che leggo un articolo o seguo discussioni in tv sulla riforma della Rai, l’associazione di idee Riforma Rai-Dieta Dukan mi scatta automatica. Non riesco ad evitarlo.
L’associazione è bizzarra, ma forse non così tanto. Perché non c’è dubbio che la Rai necessiti al momento di un tagliando, una dieta disintossicante e ristoratrice per ritrovare salute benessere tonicità.
E mi pare altrettanto vero che i dietisti che partecipano al dibattito abbiano la stessa iperfocalizzazione del dott. Dukan: i risultati verranno dalla modifica della governance, dalla riduzione del cda, dal commissario risanatore.
Sì, forse come terapia d’urto, concentrarsi quasi esclusivamente sulla governance va bene, per vedere magari subito dei benefici che ci spronino ad andare avanti con la dieta. Ma l’iperfocalizzazione dietietica non possono bastare per raggiungere benessere e salute piena. Per quella ci vuole una visione generale e azioni mirate a rimettere in moto la capacità che ha l’organismo di riequilibrare autonomamente le proprie carenze.
Le tossine accumulate in Rai sono molte e il cambiamento richiede tempo. Perché la questione non è solo di governance. È ovviamente politica, ma anche culturale e sociale e prima di ogni altra cosa organizzativa.
Una dieta iperfocalizzata, infatti, può dare risultati a breve termine ma non è sufficiente.
Lo si è visto alla BBC negli anni ’90, periodo in cui la tv pubblica britannica è stata sottoposta a una dieta ferrea.
Fino a metà degli anni ’80, infatti, la BBC era stata in grado di vivere nell’abbondanza perché alimentata da un canone (tassa non evadibile nel Regno Unito) che cresceva in media del 4% l’anno. Ma ora il mondo stava cambiando. E così la politica. Dal 1979 a Downing Street c’è una certa Margaret Tatcher, lady di ferro e fegato d’acciaio. Una signora che segue una dieta iperproteica da 28 uova alla settimana e che non si spiega la tanta pingue abbondanza alla BBC.
Tatcher e governo mettono dunque a stecchetto l’azienda, c’è da snellire la burocrazia e drenare le inefficienze. L’apporto calorico consentito proveniente dal canone è fissato nel 1985, e deve rimanere costante per i dieci anni successivi.
La dispensa era però piena di cash surplus e la BBC non ne vuol sapere di stringere la cintura. E quando le provviste di cash finiscono, si passa a rosicchiare credito dove capita.
Fino al ’92. Poi il deficit di 100 milioni di sterline, le nuove diete mediatiche portate dall’ondata digitale e l’arrivo di nuovi commensali (Murdoch lancia BskyB), convincono la BBC che è arrivato il momento di aggiornare il menù.
In quell’anno arriva alla BBC un nuovo direttore esecutivo. Si chiama John Birt e ci mette poco a scoprire un modo di gestire l’azienda alquanto inefficiente. Informazioni di bilancio nebulose, feudatari che si abboffano di risorse umane e materiali, costi impazziti e management deficitario.
C’è da evitare il rischio di una privatizzazione (!) e centrare l’obiettivo di arrivare a essere “l’azienda meglio gestita del settore pubblico”. Il nuovo menù indicato da Birt quindi prevede:
- maggior efficienza;
- scelta di risorse da allocare ai programmi in proporzione agli introiti;
- libera scelta tra risorse interne o esterne nell’obiettivo di snellire i costi;
- riduzione di 10.000 persone (fra tagli e fuoriusciti spontaneamente);
- soluzioni “tecniche” per raggiungere la sicurezza finanziaria.
Nel 2000 la dieta da’ i suoi effetti. La BBC è più snella.
Le diete drastiche però spesso sono difficili da sostenere. Possono portare malumore e persino depressione. E ciò non fa bene al benessere. E tanto meno alla creatività di cui un’azienda televisiva vive.
Quindi la BBC cambia dietologo. Il nuovo direttore generale, Greg Dyke, porta con sé una nuova visione.
Ad una dieta ferrea, preferisce una visione più olistica. Insiste sul benessere e sulla consapevolezza. Il nuovo regime si chiama “One BBC – Making it Happen”. Il cambiamento deve venire dall’interno e favorire creatività e responsabilità di tutti.
Viene introdotto il concetto di “big discussion”, per cui ognuno – management e staff – può dire la propria. I programmi vengono ora cucinati in casa per favorire creatività e condivisione. Ci sono inoltre sessioni di “just imagine” in cui team di manager e impiegati concepiscono e gestiscono il cambiamento a livello locale e tante altre iniziative per migliorare il clima, accrescere il senso di appartenenza, formare competenze e sfruttare quelle già presenti.
Il risultato è la BBC di oggi, modello di azienda pubblica sana ed efficiente. Modello di innovazione per qualità dell’informazione, dei prodotti e delle modalità di ingaggio con il pubblico su tutte le piattaforme.
La dieta che ha portato la BBC a questi risultati ovviamente non è una dieta che possa essere del tutto adatta alla RAI di oggi. Ci vuole una dieta ad hoc. Magari che consideri il corpo dell’azienda non come una serie di apparati separati che funzionano indipendentemente l’uno dall’altro. Le proteine della governance hanno bisogno degli aminoacidi organizzativi per essere assimilate. Qualità dell’informazione e delle narrazioni necessitano delle vitamine della creatività. Per smaltire le tossine della politica, mettere in moto le competenze, evitare dunque i facili ascensori. Cucinare di più in casa, invece che riempirsi il palinsesto con i preconfezionati della Endemol e di Magnolia. Tenere sempre a mente l’importanza della buona qualità delle materie prime richieste dal pubblico, e le giuste dosi, adeguate al reale fabbisogno del soggetto.