Questo post nasce dalla lettura dell’articolo di Dario Di Vico sul Corriere della Sera di oggi dal titolo “Le imprese senza più alibi”. L’editoriale di Di Vico ci dice, tra le altre cose, che oggi grazie alla modifica (in corso) del mercato del lavoro gli imprenditori non hanno più alibi e devono tornare ad investire, patrimonializzare le loro imprese e ritrovare la giusta intensità sul terreno dellle motivazioni.
Due osservazioni. La prima. Il titolo forse avrebbe potuto essere “Confindustria senza più alibi” perchè di imprenditori che stanno rischiando “tutto” per credere nell’azienda, anche dopo anni difficilissimi, ne conosco tanti in tanti settori. Discorso diverso, a mio avviso, vale per Confidustria che deve tornare a rappresentare i produttori e non i rentier ed i monopoli e capire che anche per lei, come per il sindacato, sono finiti gli anni 70′ fatti di fasti, rituali e mega strutture.
La seconda osservazione è che non credo che la riforma del lavoro – ancora da completare tra l’altro – sia la fine degli alibi per la generazione “pro pro” come la definì qualche tempo fa Ferruccio De Bortoli. Rimangono tantissime cose da fare, tra cui forse la più importante è una seria spending review delle uscite dello Stato per poter abbassare le imposte. Tra pochi mesi si vedrà l’effetto nelle tasche di tutti degli aumenti delle tasse sulle “cose” (Imu, IVA, bolli ecc ecc), senza che si sia abbassata in modo corrispondente la tassazione su chi produce e sui redditi bassi. Sul tema suggerisco la lettura un interessante analisi de lavoce.info
I problemi di dieci anni di immobilismo non sono per nulla risolti, come non è risolta l’insofferenza “del Nord” che ha dato negli ultimi anni un successo elettorale plebiscitario a Berlusconi e Bossi. Finita la grande paura del crollo finanziario, i produttori chiedono sempre le stesse cose tra cui meno tasse, meno burocrazia, meno sprechi, giustiza più veloce, migliori infrastrutture, costo dell’energia più basso ecc ecc.
Su queste cose si giocherà la partita elettorale nel 2013, come la si gioca in fondo dal 1994 e sottovalutarlo è, a mio avviso, un errore. Vincesse il massimalismo (di quello di sinistra parla spesso e in modo intelligente e attento nel suo blog su Linkiesta Peppino Caldarola) sarebbe un disastro.
Il riformismo pro business è solo all’inizio.
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