*articolo pubblicato in “Europa Quotidiano” il 30 marzo 2012
Con la nascita del Governo Monti una nuova stagione nel bipolarismo italiano si è aperta potenzialmente all’orizzonte. E pur mantenendo un’evidente alternatività di fondo tra gli schieramenti, ci siamo liberati –pare- dalla zavorra di quella soffocante delegittimazione reciproca. Prova ne è che, per la prima volta, Alfano, Bersani e Casini non hanno avuto problemi di posizionamento politico nel mostrarsi insieme di fronte all’opinione pubblica come maggioranza politica, pur anomala perché a sostegno di un governo anomalo.
Il frutto di questo primo vertice –quindi non vissuto più, in qualche modo, da “carbonari”- si è sostanziato su un accordo di massima in tema di riforme elettorali e costituzionali.
Come valutarlo? Innanzitutto, in assenza di un testo scritto quello che si sa è soltanto il fatto che alcuni punti di quadro sono stati definiti. Tuttavia, la domanda chiave, per valutare, se quanto emerge produce un nuovo bipolarismo di qualità, è la seguente: chi sceglie il governo? Gli elettori attraverso i partiti (come nel Regno Unito o in Francia), gli elettori, in qualche modo, anche oltre i partiti (come negli Stati Uniti) o i partiti attraverso gli elettori (come in Germania)? D’altronde, queste sono le tre alternative che, semplificando, il costituzionalismo nelle classiche esperienze di liberaldemocrazia, conosce. E su queste bisogna ragionare con l’obiettivo primo di difendere e di promuovere appunto, una nuova stagione nel bipolarismo italiano che incentivi una matura competizione per il governo.
Mentre tuttavia le prime due soluzioni, pur con le rispettive differenze, mantengono un bipolarismo di qualità, cioè basato sulla competizione reale per il governo, ossia sulle politiche prima che sulla politica, l’esperienza tedesca invece è naturalmente portata, se il risultato elettorale fotografato non produce chiaramente un bipolarismo di governo, a promuovere grandi coalizioni, rendendo la grande coalizione quindi non un’eccezione ma una regola di sistema.
Su questa base, bisogna valutare allora la base di accordo presentata, considerando, innanzitutto, un dato reale: che il maggioritario, pur nella sua versione spuria ed imperfetta che dal 1994 fino al 2005 abbiamo conosciuto, non è riuscito a radicarsi nella cultura politica delle elites del nostro Paese. Che fare allora, nel momento in cui la maggioranza a sostegno del Governo Monti mostra di voler cambiare l’attuale sistema elettorale, il Porcellum, con un’altra legge a base proporzionale? E’ possibile introdurre un bipolarismo di qualità, che favorisca cioè in primis una competizione sul governo?
Due alternative vi sono a disposizione. Arrivare a ciò attraverso la forza del diritto, vincolando il sistema partitico a delle coalizioni pre-elettorali forzate, con la fatica improba però di tenere insieme al governo partiti in-naturalmente uniti per obbligo e non per scelta (come fa lo stesso Porcellum), oppure arrivare a questa soluzione vincolando il sistema partitico a premiare i due maggiori partiti, migliorando così pure la natura dei partiti politici e il percorso evolutivo del sistema politico stesso, come accade in Spagna?
Tertium non datur. In alternativa, infatti, non c’è alcun bipolarismo su base proporzionale, ma solo il rischio concreto che divenga permanente anche in Italia la soluzione della grande coalizione come sempre più spesso accade anche in Germania, poiché i partiti non hanno la forza di arrivare ad un chiaro bipolarismo di governo e, non volendo tornare al voto, decidono del tutto in autonomia il Governo del Paese usufruendo della sfiducia costruttiva, prescindendo quindi da quanto espresso dagli elettori (a differenza del Regno Unito o della Francia). Questa soluzione però affonda, innanzitutto, i partiti di stampo riformista.
Si può tuttavia evitare ciò se si riproducono, su base proporzionale, gli effetti di tipo maggioritario del sistema elettorale spagnolo: circoscrizioni piccole, premi al massimo ai primi due partiti, alta soglia di sbarramento. Su questo, almeno in parte, sembra che l’accordo vi sia. Eppure non basta: deve essere pieno accordo, altrimenti tutto diviene inutile. Scendere infatti al di sotto della soglia di stampo spagnolo di un bipolarismo di qualità vorrebbe dire che tanto il Partito democratico quanto il Partito del Popolo delle Libertà hanno scelto di suicidare se stessi e le loro potenzialità di governo, dispersi nella palude della permanente grande coalizione. Cui prodest?