Il piacere del testoCome a New York, meno librerie e solo reader: il futuro della lettura

Abbiamo letto tutti qualche giorno fa che l’Enciclopedia Britannica ha deciso di non stampare più i prestigiosi volumi della sua colossale opera. Era ora, vien da dire. Che per la consultazione di ...

Abbiamo letto tutti qualche giorno fa che l’Enciclopedia Britannica ha deciso di non stampare più i prestigiosi volumi della sua colossale opera. Era ora, vien da dire. Che per la consultazione di dizionari, regesti, abbecedari ed enciclopedie il digitale fosse perfetto, lo pensavano tutti da tempo. Per lungo tempo però ci si è illusi che una storia, un romanzo, una novella non avrebbero mai abbandonato la carta: troppo scomodo, si diceva con il gusto del paradosso, portarsi il computer a letto. Invece da qualche tempo il computer a letto abbiamo iniziato a portarcelo davvero.

Elenco una serie di fatti. Il primo è che se oggi uno di noi dovesse avere l’occasione di fare una passeggiata per una grossa città americana (diciamo New York, dove sono stato non troppo tempo fa) e avesse in mente di comprarsi un libro, farebbe molta molta fatica a trovare un posto dove lo vendono. Anzi, credo che se non avesse un Kindle o un iPad o un qualsivoglia altro reader in borsa con connessione aperta, potrebbe tranquillamente togliersi dalla testa l’idea di acquistare un libro. Le librerie nei centri cittadini americani si stanno riducendo a vista d’occhio.

Ma poniamo il caso che invece sia così fortunato da trovare uno dei pochi Barnes&Noble rimasti aperti in città. La prima cosa che vedrebbe, una volta entrato, è una bella esposizione di Nook, il reader con cui la più grossa catena di librerie americane fa concorrenza ad Amazon. Dopodichè troverebbe alcuni banchi di costose novità rilegate. Di libri tascabili, invece, ne avrebbe a disposizione pochi, molti meno di qualche anno fa. E la ragione è semplice. Il libro tascabile, secondo una consuetudine che si è stabilità tra editori e lettori nel corso di decenni, è disponibile dopo circa un anno, a, più o meno, metà del prezzo della prima edizione. Ma se io posso acquistare immediatamente in formato digitale il libro appena uscito del mio autore preferito a un prezzo da paperback, la tentazione è forte.

E soprattutto: se posso averlo subito in ebook a 10 dollari, la scelta di comprarlo stampato deve essere più forte e consapevole. Certo, posso desiderare di avere nella libreria di casa tutte le opere del mio autore preferito. Ma, nella maggior parte dei libri acquistati, l’edizione digitale sarà soddisfacente.

Non vorrei essere frainteso, non sono un nostalgico. Io apprezzo molto Amazon e il mio Kindle, così come mi piace moltissimo scaricare libri sul mio iPad dal bookstore di Apple. Anche se non certo pochi sono i volumi che acquisto in copia cartacea. Ma mi domando: cosa sta per accadere?
Sta per accadere che, dopo secoli, i testi si stanno un po’ alla volta separando dalla carta. C’è chi sostiene che con la carta se ne andrà anche il piacere. Che leggere su un reader non è la stessa cosa. Può darsi. Ma quanto ci vorrà perché l’incredibile comodità di un reader (accesso istantaneo e a poco prezzo a tutti i libri disponibili in tutti i cataloghi del mondo – perché è di questo che stiamo parlando) vinca la nostalgia per la carta? Credo non moltissimo tempo. Qualche anno.

Cosa fanno gli editori? La prima, semplicissima cosa è stata rendere disponibile in edizione digitale quello che già si vendeva su carta. Ma rapidamente si è scoperto che non basta: quel piccolo ecosistema fatto di autori, agenti, editori e librai, che sembrava eterno e immutabile, improvvisamente sta diventando irriconoscibile. Non nel senso che ha cambiato forma. Nel senso che non ha più forma: autori che si pubblicano da sé, agenti che diventano editori, editori che organizzano festival, librai che diventano contemporaneamente agenti, editori e impresari teatrali. Non solo: anche i libri non hanno più forma. Non nel senso che non stanno più sulla carta, ma nel senso che il libro fisico definiva (anche se è dura da ammettere per chi pensa che la storia sia fatta dal solo spirito e dalle sue metamorfosi) anche la natura dell’opera. Ne determinava la lunghezza, per esempio.

Ma nel momento in cui il libro non ha più confini fisici, che importanza ha se è molto lungo o molto corto? Diciamo che conterà molto meno. Che “Guerra e pace” sia un’opera enorme si nota poco una volta scaricato su Kindle. E anche un lungo articolo può diventare un buon ebook se ne ha le caratteristiche: si tratta solo di pagarlo il giusto.

Gli editori, come è ovvio, sono piuttosto preoccupati da tutto questo. Temono di non avere più un ruolo. Temono che la loro attività perda valore. Temono che gli autori possano fare a meno di loro e che i grandi librai digitali, improvvisandosi editori, abbiano successo.

Che cosa facciano gli editori, in effetti, non è mai stata una questione del tutto chiara. Si pensa che il loro lavoro, più o meno, sia scegliere che cosa pubblicare. Ma se fosse tutto lì, gli editori avrebbero davvero da essere spaventati. In realtà il loro lavoro è molto più complesso, e gli stessi editori ne perdono spesso la consapevolezza.

L’editore è un imprenditore, nel senso più puro del termine. Crea un ambiente, un ecosistema, in cui gli autori possono sviluppare, veder crescere e consegnare al mondo i propri brevetti, cioè le loro opere.

L’editore è una via di mezzo tra la levatrice di cui parlava Socrate e un giardiniere paziente e tenace: ti aiuta a capire quale libro c’è dentro di te e nello stesso tempo ti dà una mano a coltivarlo, a farlo diventare realtà, e quindi a raggiungere i lettori, qualunque sia il canale a disposizione.

Non so che cosa ne pensi chi legge questo post, ma sono convinto che tutto questo non abbia nessun legame necessario né con la carta né con le meravigliose potenzialità del mondo digitale. Papiro, pergamena, carta o bit, la cosa da tenere a mente è una sola: il piacere del testo, come lo chiamava Roland Barthes, non appartiene a nessun supporto di lettura. Appartiene solo a chi legge.

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