Crisi d’identità

Sono diversi mesi che sono dormiente, su questo blog di economia. E lo sono perché non ci capisco un'acca . Je m'accuse. Non trovo nessun bandolo e neppure la tanto celebrata matassa: sono un econ...

Sono diversi mesi che sono dormiente, su questo blog di economia. E lo sono perché non ci capisco un’acca .

Je m’accuse.

Non trovo nessun bandolo e neppure la tanto celebrata matassa: sono un economista in crisi d’identità.

Contabile.

Il PIL è la somma di consumi, investimenti e spesa pubblica: giusto?

Allora le politiche europee, che abbattono i consumi, ossessionate dal rigore, attraverso una tassazione crescente; che riducono la spesa pubblica per esigenze di bilancio; che deprimono gli investimenti per un clima di sfiducia generale non controbilanciato da risibili iniezioni di liquidità nel sistema, non possono riportare l’agognato segno +.

Non ci voleva e non ci vuole un economista per capirlo.

La cosa più sensata che ho letto, in questi mesi, è il giudizio di un matematico, Odifreddi, che diceva più o meno: “Gli economisti di oggi sono come i chirurghi del rinascimento, che per qualunque male ricorrevano alle sanguisughe, nella convinzione che eliminare il sangue marcio potesse miracolosamente sanare l’organismo, senza accorgersi, invece, di finire con lo spossarne le ultime resistenze“.

D’altro canto, è stato pure scritto a valanga della crisi delle teorie economiche stesse: e che nessuno aveva predetto la crisi; e che quei pochi non sono stati ascoltati…

Anche qui mi spiace, per manifeste mie incapacità, di non essere uno scienziato duro, di quelli rassicurati dall’essenza scalare e indubitabile del mondo.

Un fisico che guarda con serenità all’entropia.

Bah, faccio spallucce e rinnovo la mia incomprensione cosmica.

C’è come un malessere spossato, però, che non riesco a decifrare: quel senso indigesto di ‘non speranza’ manifesto.

L’intima convinzione, insomma, che non ci aspetti una stagione felice.

Come quando sei a una partita di calcio e senti la necessità incombente di un’eliminazione. O di una sconfitta (e sarà che quest’anno sono abbonato all’Inter…).

Irrazionale e arresa come un gesto scaramantico.

E’ in questi momenti che si manifesta il rischio peggiore: l’istinto distruttivo dell’anti-economia.

Esattamente come il sentore cupo che queste settimane livide portano con sè, sulla groppa del cavallo trottelerrante dell’antipolitica come professione di fede.

Come reagire? Che fare?

Io ricomincio a scrivere. A pensare. A dire la mia, nel marasma della rete sola e pensosa. Con la speranza, di un grande economista come Marshall, di rivedere presto ‘l’uomo in carne e sangue’ al centro dell’analisi.

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