Con un’intervista a tutto campo al Corriere della Sera (giornale abitualmente poco frequentato) l’ex ministro dell’interno ha dato segnali all’interno del partito, già sconvolto di suo dalle vicende di queste settimane, e soprattutto all’esterno, a uno scenario politico tutto in movimento che nessuno sa dire a quale assetto approderà nel prossimo anno, elezioni politiche comprese.
Nella Lega Maroni si preoccupa di mostrarsi il custode fedele e testardo di una linea politica che scaturisce dall’ispirazione originaria del Carroccio e che è stata “sporcata” dalle incrostazioni di puro potere causate dal gruppetto che avrebbe “sequestrato” il fondatore trascinandolo con l’inganno a mosse pericolose per l’autonomia del movimento e la sua gerarchia interna.
Non solo: ma, proprio perché sente il rischio della frammentazione su base regionale, rilancia con forza l’intuizione geniale di Bossi, quando nel 1991 era riuscito a federare le diverse leghe territoriali in un unico contenitore politico. Ovvero l’abbandono anche brutale delle connotazioni etniche, linguistiche, o addirittura razziali delle “piccole patrie” territoriali per un obiettivo (e una prassi politica) del tutto “laico”, e cioè il progetto sociale e civile della trasformazione dello Stato nella macroregione del Nord, che poi si sarebbe identificata con la Padania.
Per questo non rinnega lo Statuto (che prevede segretario e presidente della Lega Nord espressione di due differenti realtà regionali) ma semmai affida la questione al Congresso federale (anticipato a fine giugno, a dieci anni dall’ultimo), lasciando quindi aperta, almeno formalmente, la designazione del leader. Pur nella comprensione, ormai accettata da quasi tutti, che la stanchezza di Bossi e i limiti imposti dalla sua malattia richiedono in ogni caso un ricambio generazionale alla guida della Lega.
Il messaggio all’esterno è altrettanto deciso. E dunque non si dà credito all’ipotesi che l’intervento dei magistrati di tre Procure sulla mala gestione economica del partito abbia la finalità politica di “sgarrettare” le opposizioni parlamentari al governo dei “tecnici” (la chiave di lettura su cui si è lanciato Beppe Grillo alla ricerca di maggior visibilità, un po’ meno solitaria). Semmai l’opera di “pulizia” della opache incrostazioni (a suon di espulsioni e di ripulitura dei conti, eliminando le bizzarrìe come Tanzania e lingotti aurei) vuole riproporre la Lega come interprete principale (e forse non isolata) della “questione settentrionale” che resta ferma e irrisolta.
Maroni ammette che “in questi dieci anni siamo rimasti indietro” quanto a cultura politica e spinta progettuale: ed è su questo versante, sgombrato il campo dalle tante figurine di scarso spessore, che prospetta il futuro della Lega, l’unico che può garantirne la piena sopravvivenza. Se nella “rifondazione culturale” si impegna anche Bossi , la strada è tracciata, e non c’è spazio per altri gruppi di potere interno. E l’”avviso ai naviganti”aggiunge di fatto che una mediazione sarà impossibile. Ed è la scommessa sulla quale il futuro leader si gioca tutto.