Intervengo nella polemica che si è scaturita di recente a proposito del Festival dell’inedito organizzato a Firenze esprimendo la mia posizione sull’iniziativa.
Il festival, a causa della protesta di una cinquantina di scrittori, è stato momentaneamente sospeso, come si apprende da una nota dell’organizzatore Alberto Acciari pubblicata sul sito ufficiale.
Ripercorriamo brevemente le tappe che hanno portato a questa decisione.
Dal 26 al 28 Ottobre si sarebbe dovuto tenere il festival aperto a tutti gli aspiranti scrittori. Per partecipare bisognava aderire a una preiscrizione al prezzo di 130 euro più iva in cui sarebbe stata offerta agli autori una scheda di valutazione sul proprio elaborato redatta da un comitato di lettori qualificati e successivamente gli autori selezionati avrebbero sottoscritto una vera e propria iscrizione a 400 euro più iva con la possibilità di avere: «uno spazio espositivo alla Stazione Leopolda di Firenze, avere la preview della propria opera sul sito di excalibooks, essere pubblicato, ed eventualmente venduto, online per un anno intero sul sito di excalibooks, partecipare al contest per avere un contratto di pubblicazione con una importante casa editrice italiana».
Nella lettera firmata da alcuni scrittori tra cui Michela Murgia, Andrea Cortellessa, Giorgio Vasta… si legge: «Crediamo che iniziative come questa riflettano quello che sta accadendo a una parte della produzione culturale italiana: la dismissione della selezione intellettuale intesa come valore e l´ostracizzazione della scelta critica in favore di pratiche di valutazione, promozione e pubblicazione a pagamento» ».
È sufficiente visitare quattro-cinque siti di agenzie letterarie per notare come il prezzo di 130 euro per una scheda di valutazione sia più che concorrenziale.
Giusto protestare per la successiva richiesta di 400 euro, una cifra spropositata, ma reputo il Festival dell’inedito un’ottima idea.
Boicottare l’iniziativa e chiedere al comune di Firenze di ritirare il patrocinio è un atto di prepotenza culturale che mai vorremmo vedere.
Un conto è pubblicare un libro a pagamento, un altro è pagare un servizio come una scheda di valutazione che, in quanto servizio, è giusto venga pagato.
Molto meglio che un aspirante scrittore investa i propri soldi per ottenere una valutazione del proprio elaborato e cerchi visibilità in un festival-fiera come quello dell’inedito, invece che spenderli per pubblicare con un editore a pagamento che, nella maggior parte dei casi, non legge nemmeno il libro.
Giusto protestare per l’entità della cifra richiesta, sbagliato arroccarsi su posizioni improbabili come quella di Raveggi: «chiedere cifre comunque alte in anni di disoccupazione come questi ci pare un’offesa al buon senso. L´iniziativa svilisce la figura professionale, precaria eppure decisiva, nell’editoria, dei lettori e degli editor».
Mi piacerebbe nel giro di poco tempo che il Festival dell’inedito trovasse una città aperta e disponibile a ospitare questa manifestazione per offrire la possibilità a molti aspiranti scrittori di esprimere le proprie potenzialità.
TWITTER @francescogiub