Laurea e polvere. «Ho studiato relazioni internazionali», spiega il caporale maggiore capo prima di mettersi alla torretta della mitragliatrice del Lince. Appena il mezzo è in movimento, non si capisce più nulla. Il frastuono viene da ogni parte. Laurea e polvere. La prima non serve a scongiurare la seconda. Ma è comunque utile per attraversare in pace le strade del Libano. Se non altro ci si rende conto dei confini questo Paese. E si capisce perché la sua storia sia tanto schiaffeggiata. Un caporale dottore, suona strano però. Di solito si pensa ai soldati, almeno alla truppa, come a dei bravi ragazzi che hanno risolto il problema del lavoro con l’uniforme, ma che restano poco avvezzi a libri et similia. In questo caso è il contrario. Esercito di professionisti. Come si usa dire.
La domanda è semplice: che ci fanno mille e passa militari italiani in un Libano che, a oggi, sembra immune dai disordini mediorientali? E se vogliamo essere più polemici: perché spendere per un contingente in un Paese che, da oltre trent’anni, non riesce a fare pace con se stesso? Unica risposta: siamo in Libano proprio perché il Libano non è in grado di autogestirsi e, quindi, per evitare che venga coinvolto in altri problemi. Primo tra questi la Siria, la cui crisi tende ad avere risoluzione lunga, ma le cui ripercussioni appaiono immediate.
Soldati italiani in Libano. Ci sono dai primi anni Ottanta. Quando Pertini decise di celebrare con loro un Natale a Beirut. Erano i tempi in cui l’esercito italiano faceva sfoggio di una inefficienza leggendaria. I marines americani fotografano i fucili dei bersaglieri come cimeli storici. Per fortuna del contribuente e dell’immagine del Paese, le cose sono un po’ cambiate. Mezzi di eccellenza e diretto contatto con il contesto socio-politico locale. Il contingente italiano, dal generale fino all’ultimo dei caporali, entra in rapporto con le realtà libanesi. È il nostro biglietto da visita per ingraziarci il governo di Beirut. La speranza è che da questo ci giunga un tornaconto. Un riconoscimento in qualità di partner straniero affidabile agli occhi di una nazionale mediorientale. Il che non è da tutti. Chi tra i Paesi della Lega araba si fida degli Usa, per esempio? Oppure della Francia? Non per nulla, loro in Libano ci sono ma in maniera del tutto soft. I marines se ne sono andati da un pezzo. I bersaglieri sono ancora là. Se poi all’Italia Beirut riconoscesse anche qualche appalto, lo sforzo dei nostri ragazzi qui sarebbe ancora più premiato.
20 Aprile 2012