La crisi di credibilità finanziaria che stiamo vivendo è figlia di almeno 10 anni di mala politica, intesa spesso come politica del non fare o del fare male. Come conseguenza della nostra paralisi politica abbiamo uno Stato che spende troppo e male, tassa troppo i produttori onesti, non punisce i free rider e quindi non permette la crescita.
La responsabilità di questa crisi – non solo politica – non è di marziani che ci hanno invaso ma ha, a mio avviso, un forte legame con la fuga della borgesia dalla capacità di impegnarsi e di metterci la faccia. Uno che ci mette la faccia in effetti c’è e si chiama Silvio Berlusconi, ma è il tentativo di un uomo solo al comando che, infatti, ha fallito.
Quello che sembra scomparso è il professionista che oltre a fare bene il proprio lavoro contribuisce al dibattito con idee, chiede conto e – ovviamente – ci mette la faccia. Da un pò di anni una deriva di disinteresse si è impadronita di noi. Si delega sempre quello che è interesse comune, ci si occupa solo del piccolo (o grande) microcosmo che ci circonda sul lavoro. A volte sembriamo tante formichine che lavorano, ma che non capiscono bene dove vanno e per costruire cosa…
Massimo Malvestio, avvocato con avviato studio a Treviso e già enfant prodige della Democrazia Cristiana veneta, è una di quelle persone che ti fa sperare che esista ancora una classe di professionisti capaci di alzare la testa e dire quello che vede e pensa, insomma che ci sia ancora vera borghesia capace di essere classe dirigente.
Il suo libro “Mala gestio: perchè i veneti stanno tornando poveri“ (una raccolta di suoi interventi sul Gazzettino del Veneto e su Nordesteuropa.it) ha nel titolo il Veneto, ma parla a tutti noi e di tutti noi. Come scrive Massimo in premessa “il vero filo conduttore di questo libro è il contingente che diventa eterno, le cose insensate che non cambiano mai, gli amministratori incompetenti che rimangono sempre al loro posto, a dispetto di tutto e di tutti. Fungibili a qualsiasi disegno perché, in realtà, non c’è nessun disegno.
Anzi è proprio l’assenza di qualsiasi disegno a legittimarli. La gestione del contingente, il piccolo interesse quotidiano, la sapiente organizzazione della comunicazione, l’omologazione del pensiero in slogan: sono queste le caratteristiche che consentono la perpetuazione di quella parte di classe dirigente che vive di inutili gestioni pubbliche. Quel che conta non è il fine ma il mezzo: la gestione pubblica è il mezzo per garantire i privilegi. Uno Stato omnivoro, inefficiente, tracotante ed invasivo è quello di cui costoro hanno bisogno per diffondere i loro slogan spesso permeati di un moralismo di maniera.”
Speriamo che rinasca la consapevolezza che il destino è nelle nostre mani e che può essere cambiato se torniamo ad essere una comunità. La mala gestio è una colpa collettiva, figlia del disinteresse e dalla incapacità di visione.
Twitter @actavecchio