Marta che guardaMarigold Hotel, di John Madden

C'è un solo modo per godere di questo film: deporre le armi. Abbassare la guardia. Lasciare sopita la voglia di perfetta verosimiglianza, sia psicologica sia geografica. E tenere a bada il cinismo ...

C’è un solo modo per godere di questo film: deporre le armi.
Abbassare la guardia.
Lasciare sopita la voglia di perfetta verosimiglianza, sia psicologica sia geografica.
E tenere a bada il cinismo che scorre nelle vene di quasi ogni cinefilo, che per definizione è piuttosto disincantato, e il buonismo e il lieto fine d’ordinanza gli fanno venire l’orticaria.
Ne vale la pena, perché Marigold Hotel è un film carino, anche se un po’ banale,
infarcito da uno humor inglese che ha sempre il suo perché, anche se parecchio sentimentale, ambientato a Jaipur nel meraviglioso Rajasthan indiano, che immagino sia però rappresentato con una buona dose di luoghi comuni, come se facessero vedere Napoli come una città tutta pizza e mandolino o Milano come una metropoli tutta “da bere” (sì, come no…).
Ma ne vale la pena soprattutto perché Marigold Hotel ha un cast che riunisce i migliori attori inglesi del Novecento, da Judy Dench a Bill Nighy, da Maggie Smith, a Tom Wilkinson, che recitano con quel sottotono britannico che dice tanto, tantissimo, senza mai strafare. Una goduria per chi ama il mestiere dell’attore.
Il film narra di un gruppo di anziani inglesi, pensionati e per lo più senza grandi possibilità economiche, che con motivazioni varie decidono di trasferirsi per un tempo indefinito in un albergo a Jaipur, bellissimo sul dépliant pubblicitario, decadente al limite dello sfascio nella realtà.
Ci sono diversi tipi umani, con vicende di vita differenti, ma accomunati da quell’affacciarsi alla terza età dove bisogna ritrovare un senso nuovo al proprio sé.
Il tema è quanto mai attuale e urgente perché il destino dei nostri anziani, ormai “improduttivi” ma ancora tutto sommato in salute, con discrete prospettive di vita e magari anche con velleità sessuali e amorose, sta diventando davvero un problema sempre più diffuso in questo Occidente che invecchia. Certo lo si poteva affrontare con meno superficialità, entrando con più coraggio nelle fragilità e nelle paure di questi personaggi, nel loro sconforto ma anche nel loro legittimo desiderio di scoprire la via per una rinascita, anche a 70 anni. E se ci fossero stati altri attori il film probabilmente sarebbe crollato sotto una sceneggiatura mediocre. Ma davanti allo sguardo spaventato e fiero di Judy Dench, al suo viso bellissimo e decorato di rughe, di fronte alla malinconia nutrita di rimpianto di Tom Wilkinson e alla delicata e allegra sensibilità di Bill Nighy, la mediocrità passa in secondo piano e si resta incollati alla poltrona per scrutare ogni sfumatura di cotanta recitazione (anche se dieci minuti in meno avrebbero giovato).

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