Saprà la Lega sopravvivere e rigenerarsi dalla bufera giudiziaria che rischia di travolgerla insieme al suo ineffabile tesoriere, quel Belsito sconosciuto ai più ? L’incognita si affaccia nella base padana già inquieta di suo da almeno un anno nella contrapposizione interna tra “cerchio magico” e “barbari sognanti”. Qualcuno prova a consolarsi constatando che il regista dell’inchiesta è quel dottor Woodcock, che in media ha un clamore informativo inversamente proporzionale alla solidità di impianto accusatorio (come è accaduto per Vittorio Emanuele di Savoia, arrestato e poi rapidamente scagionato da altri giudici). Altri segnalano che le inchieste vanno a toccare l’unico partito di opposizione parlamentare al governo tecnico: e quindi con il ragionevole dubbio che ancora una volta la tempistica giudiziaria sia consustanziale al pesante condizionamento sulla politica.
Tutto più che plausibile: ma colpisce il brutto tramonto di un vero leader, che a modo suo ha segnato a lungo l’agenda politica del Paese, ed ora si ritrova inguaiato da una corte e un parentado francamente imbarazzanti, oltre che impresentabili. Nessuno dubita in realtà dell’onestà personale e della sobrietà di vita del Senatur , ma i lussi sfacciati dei rampolli e gli opachi maneggi dei denari pubblici del partito sono una mazzata paradossalmente più grave sul piano dell’immagine di ben più corpose ruberie individuali. Anche perché confermano tristemente che la Lega si dimostra incauta e improvvida quando di mezzo ci sono i quattrini: infatti la storia del Carroccio è intessuta di successi politico-elettorali e di altrettanti tracolli economici, culminati nel fallimento della banca Credieuronord.
L’amaro paradosso è che la Lega può certamente finire, ma mai come adesso sono vive e brucianti le ragioni che l’hanno fatta nascere e crescere: dall’oppressione fiscale, al peso parassitario della burocrazia centralista, allo Stato “nemico” della creatività di intrapresa, alla paralisi degli enti locali, privati di risorse e sempre più sottomessi al potere romano. Perché il rattenuto rancore verso le stangate del governo tecnico avrà sempre di più bisogno di incanalarsi in un contenitore politico legato al territorio.
Con queste miserevoli storie di mala gestione e di pasticci dinastici, la Lega sembra buttarsi via proprio quando aveva ritrovato l’anima movimentista e la natura originaria di collettore della protesta. E anche la ormai consolidata leadership di fatto di Maroni rischia di arrivare tardi per restituire cultura progettuale e azione politica al più vecchio partito del Parlamento. Infatti è ormai fuori tempo massimo la scherzosa spartizione che fino ad ieri sembrava possibile, quella cioè che prevedeva “alla famiglia il patrimonio, il partito a chi aveva una strategia…”.