Dare uno status privilegiato ai debiti delle imprese con la pubblica amministrazione, che lo stato si appresta a certificare, rispetto al resto del debito potrebbe essere un’idea per un armistizio tra keynesiani e rigoristi, e dare uno stimolo di crescita senza accrescere il debito. Ci pensi il governo dei tecnici e ci pensino i tecnici delle banche.
In un interessante articolo su Repubblica di 21 aprile, Alessandro Penati argomentava che anche un debitore come uno stato, lo stato italiano, in crisi di liquidità, tende a contagiare in primo luogo i fornitori proprio come fa un’azienda, dilazionando i pagamenti. La certificazione, che gli apparati pubblici si apprestano a fare, dei propri debiti verso i fornitori, in modo che questi ultimi possano almeno chiederne l’anticipo in banca, è un tentativo di attenuare questo contagio, ma da solo non può funzionare.
Il motivo per cui questa iniziativa non può funzionare non è tanto una questione tecnica legata alla differenza tra regime “pro solvendo”, con cui le banche dovrebbero anticipare i fondi, e “pro soluto”, con il quale i creditori si libererebbero per sempre dei loro crediti. Nell’ipotesi, più che credibile, che il destino di queste aziende sia fortemente legato alla solvibilità dello stato, questa distinzione tecnica fa poca differenza: il rischio cui le banche si espongono anticipando questi fondi è comunque sostanzialmente un’esposizione al rischio sovrano. E, come osserva Penati, di esposizione al rischio sovrano le banche ne hanno abbastanza. Non è pensabile che a un sistema bancario piegato dall’esposizione al debito pubblico si chieda di finanziare le imprese accrescendo la concentrazione della propria esposizione alla stessa fonte di rischio, piuttosto che aumentando la diversificazione.
L’idea però può funzionare, con una correzione. Si rendano per legge questi crediti “senior” rispetto ai titoli di stato e al resto del debito pubblico. In questo caso la carta che i creditori presenterebbero alle banche sarebbe sicura come un BUND, e a fronte di questa carta le banche sarebbero incentivate a concedere il credito, e lo concederebbero a tassi più bassi. L’impatto sul costo del resto del debito sarebbe trascurabile (se le dimensioni di questi crediti sono di circa 30 miliardi su 1900 di debito complessivo). E sarebbe anche l’occasione per sperimentare un keynesianesimo moderno, che opera attraverso la spesa privata con la garanzia del pubblico, piuttosto che con la spesa pubblica direttamente.