In un momento storico in cui la fiducia che gli italiani nutrono verso i partiti politici oscilla fra il 2 e il 4 per cento – da cui l’ormai noto paradosso: anche coloro che si muovono nei partiti, nei partiti non credono più – il sentimento che si crea nell’opinione pubblica è quello dell’«antipolitica». O, perlomeno, così molti commentatori lo definiscono.
Anche in televisione, dai programmi di approfondimento politico alle trasmissioni più leggere, passando addirittura per gli sketch dei comici, l’antipolitica assurge a movente principale sfruttando i numerosi assist che l’agone… pardon, l’agonia politica (un po’ di antipolitica anche qui: tira più del famoso carro di buoi) offre in questo periodo.
Gianluigi Paragone, ad esempio, che nel suo programma «L’ultima parola» (venerdì, Raidue, 23.40) aveva dato per primo un così ampio spazio alle istanze di imprenditori, operai e gente comune delusa dalla politica, gode in quest’ultimo mese di ascolti molto alti, sensibilmente superiori a quelli cui era abituato. La media delle ultime cinque puntate supera di oltre due punti la media di tutte le precedenti, compresa quella in prima serata: 11,79% contro 9,63%. Anche includendo l’anteprima del programma, i dati confermano l’andamento: 9,71% contro 8,22%. E, benché egli stesso tenga sovente a precisare che non si tratti di «antipolitica» ma di «altra-politica», i motivi di un simile successo non si devono solo a questa scelta editoriale. Tale direzione, infatti, è elevata da un elemento di formato – molto santoriano, quantomeno per genesi – che ne rende efficace la narrazione televisiva: la piazza portata in tv.
Niente di nuovo, d’accordo, ma qui il concetto di piazza è esasperato come mai prima.
Ne «L’ultima parola», infatti, si alternano e si sovrappongono almeno quattro “piazze”. La prima è “in studio”, ed è costituita da un pubblico selezionato che interviene nel dibattito, sovente stimolato dagli argomenti della “piazza virtuale”, abilmente coltivata dalla redazione con anteprime in streaming e forte presenza su social network e web in generale. Un contributo da outsider nella discussione, ulteriore elemento di novità, è, ancora, la “piazza virtuale in studio”, rappresentata dai blogger invitati in trasmissione. Infine, come da tradizione consolidata, Paragone si avvale anche della “classica piazza in collegamento”, con gli inviati chiamati di volta in volta a gestire in loco le varie testimonianze.
Certo, la piazza è spesso “caciarona” e cede al populismo. E, in più, quando ha la possibilità di confrontarsi con il Palazzo, l’eventualità che i toni si alzino diventa una mezza certezza. Piazza contro Palazzo, quindi, da efficace elemento di formato rischia di tramutarsi in bieco gioco delle parti al servizio della rappresentazione.
Altro aspetto interessante, inoltre, è la costruzione dell’inizio del programma: una sorta di mini-format introduttivo a sé. Nel caso in cui, sforzandosi non poco, si riesca a non farsi turbare dalle ormai celebri performance canore del conduttore (rassicuriamo tutti, continuano: ultimamente interpretando Bertoli, Fossati, Vasco, Bennato e De André), si è spesso premiati da un servizio iniziale sempre molto centrato ed efficace, che conferma come i contributi video siano l’ingrediente migliore del programma. La canzone, «una sorta di diapason – a parere di Gianluigi Paragone – che serve a dare il “la” alla trasmissione», ha in realtà un duplice scopo. Da un lato sottolineare una differenza con i vari Lerner, Santoro e Vespa, cavalcando una frattura generazionale sempre più profonda nell’opinione pubblica. Dall’altro, si caratterizza il programma con una sorta di colonna sonora che, come si evince facilmente dalla “compilation” in calce, comprende brani sostanzialmente di opposizione.
Inoltre, la canzone e il servizio sono punteggiati da uno o due brevissimi monologhi in cui lo stesso Paragone deplora duramente un fatto o attacca il politico di turno (nell’ultima puntata, ad esempio, ha fortemente stigmatizzato una boutade di Umberto Bossi). Questi fattori – a volte invertiti, ma il risultato non cambia – consentono di capire dove si andrà a parare e di acclimatarsi in attesa del talk vero e proprio. Un talk classico, a tinte forti, che proprio per questo risente molto dell’assenza di politici di primo livello, riflettendo una sorta di ostracizzazione di cui sembra vittima il programma da parte dei piani alti della politica (anche se, di questi tempi, può trasformarsi in un bel biglietto da visita per la trasmissione). Conseguenza diretta: «L’ultima parola», che già di suo ha contro l’ora di messa in onda, non ha eco il giorno dopo, non è ripreso dalla stampa, non fa opinione. Non esiste.
Ma c’è un altro problema che da sempre rischia di minare l’attenzione che invece ora la trasmissione meriterebbe. È il credito professionale che il conduttore può avere verso un’ampia fetta di pubblico. Essere stato direttore de «la Padania», infatti, è un peccato che molti non sono disposti a perdonare facilmente. A destra come a sinistra.
Paragone’s Compilation
Tutti i brani reinterpretati, chitarra in mano, da Gianluigi Paragone durante «L’ultima parola»
20/04/2012 Fabrizio De Andrè – Via del campo
13/04/2012 Edoardo Bennato – L’isola che non c’è
30/03/2012 Vasco Rossi – C’è chi dice no
23/03/2012 Ivano Fossati – La canzone popolare
16/03/2012 Pierangelo Bertoli – A muso duro
09/03/2012 Giorgio Gaber – Io se fossi dio
02/03/2012 Lucio Dalla – Piazza Grande
10/02/2012 The Rokes – Ma che colpa abbiamo noi
03/02/2012 Vasco Rossi – Vivere
27/01/2012 Francesco Guccini – L’avvelenata
13/01/2012 Vasco Rossi – Un senso
09/12/2012 Giorgio Gaber – Far finta di essere sani
02/12/2012 Fabrizio De Andrè – Quello che non ho
25/11/2011 Francesco De Gregori – Chi ruba nei supermercati?
18/11/2011 Edoardo Bennato – Dotti medici e sapienti
11/11/2012 Edoardo Bennato – Rinnegato
28/10/2011 Giorgio Gaber – Mi fa male il mondo
30/09/2011 Francesco Guccini – Dio è morto