“Gli economisti accademici hanno giocato un ruolo importante nel causare la crisi. I loro modelli erano eccessivamente semplificati, distorti, e trascuravano gli aspetti più importanti. Questi modelli sbagliati hanno incoraggiato i politici a credere che il mercato avrebbe risolto tutti i problemi.” E’ l’atto d’accusa di Joseph Stiglitz contro i colleghi “freshwater”, gli economisti – spesso organici alla destra americana – che insegnano nelle Università di Chicago e delle città intorno ai grandi laghi (da cui il nome), responsabili, a suo parere, di aver fatto previsioni sbagliate confidando nelle capacità del mercato di tornare in equilibrio e di non discostarsene troppo. L’interessante intervista del premio Nobel per l’Economia è stata pubblicata dal sito Linkiesta e traduce un dialogo con il sito tedesco “The European”.Stiglitz, nell’intervista, accusa anche l’Europa per l’eccesso di austerità.
“l’austerità di per sé sarebbe sicuramente un disastro. Sta portando a una doppia recessione che potrebbe essere abbastanza grave. Probabilmente peggiorerà la crisi dell’euro. Le conseguenze nel breve termine saranno molto negative per l’Europa. “
L’economista, riconoscendo la superiorità del “modello tedesco”, tuttavia rileva:
“Ma il problema più ampio riguardo il “modello tedesco”. Ci sono diversi aspetti – tra questo il modello sociale – che consentono alla Germania di superare una forte caduta del Pil offrendo alti livelli di protezione sociale. Il modello tedesco dei corsi di formazione professionale è molto efficace. Ma ci sono altre caratteristiche che non sono altrettanto positive. La Germania ha un’economia basata sulle esportazioni, ma questo non può valere per altri Paesi. Se alcuni Stati hanno dei surplus nelle esportazioni, costringono altri Stati ad avere dei deficit nelle esportazioni. La Germania ha adottato delle politiche che gli altri Stati non possono imitare, e ha provato ad applicarle all’Europa in un modo che incrementa i problemi europei. Il fatto che alcuni aspetti del modello tedesco siano buoni non significa che tutti i suoi aspetti possano essere applicati in giro per l’Europa.”
Di più: Stiglitz critica apertamente Mario Draghi che ha parlato di fine del modello sociale europeo:
E’ un’assurdità. La domanda di protezione sociale non ha nulla a che fare con la struttura della produzione. Ha a che fare con la coesione sociale o la solidarietà. Questo è il motivo per cui sono così critico con la tesi di Draghi alla Bce, per cui la protezione sociale andrebbe smantellata. Non ci sono basi su cui fondare un simile ragionamento.
Stiglitz, insomma, si dimostra ancora una volta uno degli esponenti del mainstream più illuminati e critici del neoliberismo, almeno nelle sue più estreme conseguenze. E, tuttavia, non si può mettere in evidenza l’esigenza di una complessiva autocritica del mainstream, non limitata al solo campo iperliberista.
In effetti uno dei contributi più noti di Stiglitz alla teoria economica (sviluppato con Carl Shapiro) riguarda i cosiddetti “salari d’efficienza“. In questa ipotesi le imprese preferiscono pagare il lavoratore più della cifra che permetterebbe l’equilibrio sul mercato del lavoro e quindi il riassorbimento della disoccupazione, al fine di incentivarlo ad essere più efficiente, ossia a non “barare”, lavorando meno. I salari troppo alti genererebbero così un equilibrio nel mercato del lavoro che presenta una disoccupazione persistente.
Se l’ipotesi sembrasse a prima vista ingenua, Shapiro e Stiglitz avanzano però una spiegazione più sottile: la disoccupazione creata dai salari troppo elevati è “disciplinare”(*). Nel caso in cui il lavoratore fosse scoperto a “barare” e quindi fosse licenziato, sarebbe difficile per lui trovare rapidamente un nuovo lavoro. Pertanto la presenza di disoccupazione induce il lavoratore a lavorare di più e/o meglio. Questo modello neoclassico-imperfezionista assegna quindi alle imprese, piuttosto che ai sindacati come faceva Pigou, la responsabilità del mancato equilibrio di piena occupazione causato da salari troppo elevati.
Tutto ciò però trova poco riscontro nella realtà che abbiamo vissuto per lo meno dagli anni ’80 in poi. Al contrario, la quota di reddito nazionale destinata ai salari è caduta in tutti i paesi industrializzati ed in particolare negli Stati Uniti. Le proteste di Occupy Wall Street nascono proprio sui dati che hanno visto i redditi di pochissimi membri della società incrementare vertiginosamente, mentre il salario del lavoratore medio diventava sempre più ridotto in termini reali (e in certi casi persino in termini nominali) grazie anche all’assottigliamento del numero di lavoratori nell’industria a favore della crescente precarietà nel commercio e altri servizi. Semmai la disoccupazione è stata usata per convincere i lavoratori ad accettare salari sempre più miseri. Ed è proprio qui che nascono le premesse della crisi, con la crescita esponenziale del credito, della finanza, le conseguenti “bolle”, per tenere alta la domanda. Non solo negli USA, beninteso, ma anche in Europa: basti pensare alla bolla immobiliare spagnola finanziata dalle banche tedesche.
Stiglitz e Fitoussi hanno colto il problema della bassa domanda più recentemente. E, tuttavia, lo stesso Stiglitz non ha nel suo armamentario teorico molte frecce da scagliare contro i colleghi “freshwater”. Quel che è andato in crisi nel 2007/2008 è l’intero impianto mainstream, non solo una sua parte.
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(*) Carl Shapiro and Joseph E. Stiglitz, Equilibrium Unemployment as a Worker Discipline Device, The American Economic Review, Vol. 74, No. 3 [link]