L’autoghettizzazione é un pilastro fondamentale degli stereotipi omosessuali.
E gli stereotipi, si sa, hanno spesso un fondo di veritá.
I gay frequentano locali per gay, saune per gay, parrucchieri gestiti da gay, partecipano al gay pride.
E le lesbiche, ovviamente, non sono da meno.
A Londra, dove il mercato checca é ben più avanzato di quello italiano, l’autoghettizzazione (che per disclaimer ricordo essere un fenomeno incompleto, variabile a livello indiduale, a volte deplorevole) ha raggiungo il livello successivo.
La ghettizzazione nella ghettizzazione.
E qui cade il pollo. Io. Che nuoto per una squadra gay, forte di circa 150 uomini e 15 donne. Per rispettare le esigenze di tutti (si sa, i gay sono sensibili ma le lesbiche di più) il giovedì sera é stata istituita una sessione di allenamento riservata alle femmine, libere di esprimersi in corsia senza l’intralcio di maschioni depilati.
Fin qui nulla di strano, dato che la divisione nuoto libero per uomini e donne sta diventando sempre più frequente nelle piscine della capitale inglese, soprattutto per accomodare le esigenze di alcune religioni che non permettono alle donne di nuotare contemporaneamente a rappresentanti dello sesso opposto.
Ma lo shock arriva ieri sera. Nell’orario rosa, le donne sono a loro volta divise.
In corsia uno, una nuova allenatrice, di colore, si prepara ad allenare cinque ragazze, di colore.
L’altra corsia ha l’allenatrice bionda e atlete bianche e gialle.
“Deve essere un caso. Sì, un caso. Caso strano, ma un caso” mi ripeto mentre esco dall’acqua.
Io, ho nuotato con gli uomini.