DischauntVasco Rossi è il male? Eh già. E un libro spiega il perché

(Aggiornamento al 30 aprile: Vasco Rossi ha risposto a questo articolo, leggi la replica integrale.)Ultime istantanee dal declino vaschiano: l'attacco alle canzoni di Amedeo Minghi e Claudio Baglio...

(Aggiornamento al 30 aprile: Vasco Rossi ha risposto a questo articolo, leggi la replica integrale.)

Ultime istantanee dal declino vaschiano: l’attacco alle canzoni di Amedeo Minghi e Claudio Baglioni (definite “lagnose” e “prive di contenuti”) e l’auto-elezione a nuovo cantore della “generazione Post” (con tanto di poesia commentata). E una schiera di fan pronti a difenderlo, sempre e comunque: «A noi ci fanno pena quelli che non capiscono la musica di Vasco Rossi», si legge in un post, firmato “redazione Il Blasco”, pubblicato sulla pagina Facebook ufficiale del rocker di Zocca. Un’invettiva rivolta a tutti i «poveri pirla» che criticano il loro «Komandante». Nel frattempo lui, VR, mentre lancia il suo balletto alla Scala, non smette di inondare Youtube degli ormai leggendari clippini, brevi filmati in cui, armato di occhiali da sole a forma di chitarra elettrica e – ahimé – di una webcam, filosofeggia sui temi più disparati: il sesso, la musica, la politica, l’amore, la depressione e via dicendo.

E mentre il Blasco affonda nel mare dei social network, la sua musica fa altrettanto. Non tanto a livello di vendite, assolutamente – gli irriducibili sono molti di più di quanto si possa immaginare e il suo “Vivere o niente” (2011) è diventato disco di diamante – quanto a livello di contenuti: liriche balbettanti, arrangiamenti asfittici, videoclip imbarazzanti. Un vuoto pneumatico che Vasco ripete ininterrottamente da quasi due decenni. Secondo Paolo Talanca, critico musicale e saggista, e Alessandro Alfieri, dottore di ricerca in Scienze Sociali e Filosofiche, il male che affligge Vasco è la «ripetizione dell’identico». I due studiosi si sono presi la briga di analizzare il “fenomeno Vasco Rossi” da un punto di vista sociologico e filosofico, e ne hanno riportato le conclusioni in un libro, intitolato significativamente “Vasco, il Male” (pubblicato da Mimesis Edizioni). Un trattato critico non solo verso Vasco in quanto tale, ma anche verso quello che Vasco rappresenta.

Come interpretate Vasco e la sua influenza “culturale” nell’Italia di oggi?
(risponde Paolo Talanca) Musicalmente non credo che Vasco abbia influenzato granché in Italia. Vasco è stato un radar musicale capace di captare le sensazioni del suo pubblico, un radar istintuale, ma credo che il suo percorso sia irripetibile proprio perché la sua musica è andata di pari passo con certe esigenze e certi scenari sociali. Negli anni Ottanta cantava per slogan, nel periodo cioè in cui il claim pubblicitario, il motto rapido e incisivo rappresentava – nel bene o nel male qui conta poco – una delle più epocali liberalizzazioni italiane: quella televisiva tramite le emittenti commerciali. L’esempio più clamoroso è tutta la canzone Bollicine: “Coca-Cola, e sai cosa bevi”. Poi, dai primi anni Ottanta e fino alla metà degli anni Novanta, Vasco Rossi non ha sbagliato un colpo: ha aggregato diversi linguaggi, dal pop alla canzone d’autore al rock, fino al capolavoro in questo senso, che secondo me è la canzone Stupendo.

Poi che cosa è andato storto?
Dopo il suo periodo d’oro, Vasco ha cominciato a ripetere l’identico, a scrivere quelle che io chiamo nel libro “canzoni a una dimensione”. Ecco, forse in questo senso la sua influenza è più importante a livello sociale: Vasco è un portatore sano – o forse no, chi lo sa? – di acriticità musicale, di fanatismo artistico. L’acriticità fa dei danni inconcepibili: “Vasco è Vasco”, questo è la motivazione dell’apprezzamento di molti fans.

Leggo dal libro che “Il popolo di Vasco parla attraverso le sue parole e vede il mondo attraverso i suoi testi. Quando lo stesso Vasco si trova di fronte a loro per farsi ispirare non può che trovare se stesso: asfissia artistica, un gioco di specchi, senza possibilità di fuga”. Ma il problema del Blasco più recente – e più decadente – risiede in lui o nel suo pubblico?
Credo sia uno scenario concatenato: all’abbassamento artistico delle canzoni del Vasco degli ultimi quindici anni non è seguito un abbassamento di consensi. Anzi, c’è stato un aumento esponenziale. Penso che il problema risieda soprattutto nelle nuove generazioni. Chi era abituato al primo Vasco, più facilmente nota la differenza; la generazione nata dagli anni Ottanta in poi invece per lo più si è formata in un mondo in larga misura omologato, in cui la forma mentis televisiva imperversa, in cui il rapporto ex cathedra è la normalità: uno parla e gli altri lo stanno a sentire senza possibilità di sottrarsi. Pena: l’ostracismo dal regno delle fate. Troppo apocalittico?

Forse un po’. Ma quindi il Vasco degli ultimi tempi, quello degli “eh già” e dei clippini caricati su Youtube, è in qualche modo una metafora del “male” che affligge la società moderna?
Partiamo dai clippini. Facebook – è lì che Vasco Rossi convoglia i sui filmati – è un luogo schizofrenico: Vasco oggi su Facebook non fa altro che interpretare in maniera geniale, forse come nel periodo di “Bollicine” anche se non in maniera artistica, la direzione della società. Peccato non scriva più canzoni in questo modo. Con gli “eh già”, invece, hai colto nel segno: sono proprio questi la riproposizione dell’identico, il paradosso che la cifra artistica di una canzone di Vasco oggi risieda unicamente nel fatto che è lui a scriverla; il video di quella canzone è abbastanza emblematico. Questa stasi iconica permette di far cantare in uno stadio a centomila persone la frase “non c’è niente che non va”. Ma davvero non c’è niente che non va oggi in Italia?

Al contrario: sono tempi difficili. Ecco perché mi sembra quanto mai opportuno “riciclare” una citazione di Gaber, riadattandola allo scenario odierno. Devo temere più Vasco in sé o Vasco in me?
Colgo la citazione, traslata da Berlusconi a Vasco. Io personalmente però temo chi non supera i propri limiti, chi si accontenta, chi rifugge alla domanda “Perché?”, che è la più difficile del mondo e, non a caso, la più abusata dai bambini – dai quali abbiamo molto da imparare in quanto a coraggio. L’intero libro è dedicato, magari un po’ ambiziosamente, al senso critico. Per quanto mi riguarda ho cercato di spiegare perché il Vasco del primo periodo sia un artista straordinario; per questo non mi posso accontentare del secondo. “Vasco è Vasco”, questa è la frase che bisogna temere, questo è sviare la domanda “Perché ti piace Vasco?”, questo è il Male.

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