Tempo fa ho inviato una mail a un giornalista famoso e sulla cresta dell’onda, di cui non farò il nome. Premetto che non gli scrivevo per inviargli il curriculum ma per chiedergli una semplice informazione. Nulla di più.
A tutt’oggi non ho ricevuto risposta e dispero di riceverla.
Eppure io, fossi in lui, avrei risposto. E non solo perché, a differenza sua, sono una sconosciuta giornalista freelance (per giunta sfigata), ma perché, anche se fossi famosa e avessi un contratto giornalistico blindato, ritengo che l’educazione imponga una risposta. Sempre e comunque.
Ma purtroppo la vanitas spesso prevale sul bon ton.
Perciò inviterei a riflettere su quanto accaduto a Pierre Salviac, giornalista francese licenziato a causa di un tweet -decisamente poco elegante – sulla nuova Premiére dame. La stazione radiofonica per cui Salviac lavorava, ritenendo il messaggio del tweet ingiurioso e sessista, non ci ha pensato due volte e lo ha licenziato. Su due piedi.
Anche perché, a dirla tutta, il giornalista francese era recidivo. A gennaio scorso, sempre su Twitter, aveva postato affermazioni offensive nei confronti degli omosessuali.
Pensare che quello che è accaduto a Salviac possa succedere in Italia equivale a pura fantascienza. Per mille motivi
Forse a qualcuno il licenziamento del giornalista parrà esagerato ma, senz’altro, rappresenta una punizione esemplare, necessaria a ridimensionare l’ego ipertrofico di coloro che, da giornalisti, si ritengono in diritto di poter dire qualsiasi cosa. Peccando spesso di superbia e perdendo così l’impagabile dono dell’umiltà.
Perciò a loro, a quel giornalista che non ha voluto rispondermi e anche a me stessa, vorrei rammentare ciò che diceva Montaigne: “Ricorda che, anche sul trono più alto del mondo, rimani pur sempre seduto sul tuo sedere”.