“Hi, Thank you for your email.
I will response to you as soon as possible.Regards.
Shahin Najafi
شاهین نجفی”
Il risponditore automatico della mail è il contatto più immediato che, di questi tempi, potete instaurare con Shahin Najafi, rapper iraniano su cui pende una fatwa emessa dall’Ayatollah Safi Golpayegani. Il musicista, 31 anni, vive da circa dieci giorni nascosto in una non meglio specificata località della Germania: “Un posto sicuro dove leggo e suono la chitarra”, ha dichiarato nell’unica, rarissima dichiarazione rilasciata via telefono all’Associated Press. Shahin vive in Germania dal 2005, e da quasi due settimane la sua vita è in serio pericolo. Il tutto a causa di una canzone.
Il brano in questione si intitola Naghi, e lo potete ascoltare qui. É un canto, intriso di ironia e sarcasmo, dedicato ad Ali an-Naghi, decimo dei dodici Imam della religione sciita. Nel pezzo il rapper, oltre a lodare – per modo di dire – il santo, fa riferimento anche a Golshifteh Farahani, l’attrice iraniana che nel 2011 posò senza vestiti per il settimanale francese Le Figaro e cui il governo di Mahmoud Ahmadinejad ha impedito il ritorno in patria. Qui potete trovare una traduzione in inglese di “Naghi”, con tanto di note a margine per spiegarne i complessi riferimenti religiosi. Il brano, caricato su Youtube lo scorso 7 maggio, ha ricevuto 500mila visualizzazioni in meno di due settimane. Il suo autore, invece, decine di minacce di morte in poche ore.
Minacce che, in breve tempo, si sono convertite in una vera e propria taglia in denaro. Il 9 maggio, dopo la condanna a morte lanciata dall’Ayatollah, il sito in lingua farsi “Shia Online” ha pubblicato un annuncio: 100.000 dollari in contanti come premio per chiunque riesca ad uccidere Shahin. Il rapper ha quindi contattato la polizia tedesca, che da quel giorno lo tiene sotto scorta in una località sconosciuta. Una situazione che a molti – compresa l’emittente Al Arabiya – ha ricordato quella dello scrittore Salman Rushdie, autore del contestatissimo “I Versi Satanici”, il libro del 1987 che gli “valse” una fatwa da parte di Khomeyni e che, per anni, causò una vera e propria persecuzione nei confronti dei suoi traduttori.
Un brivido percorre la mia schiena, mentre leggo l’as soon as possible inviato dal risponditore automatico. Quanto sarà lungo quel soon – mesi, anni? Solo poco tempo fa, a novembre 2011, Shahin aveva suonato per la prima volta a Milano, sul palco della Casa della Musica, circondato dall’affetto di decine di fan. Chissà se tornerà ad esibirsi ancora. Io me lo auguro.