Marta che guardaSister, di Ursula Meier

Sister, firmato dalla regista francese Ursula Meier, ha vinto all'ultimo festival di Berlino l'Orso d'argento speciale, un premio inventato apposta per questo film perché Mike Leigh, presidente del...

Sister, firmato dalla regista francese Ursula Meier, ha vinto all’ultimo festival di Berlino l’Orso d’argento speciale, un premio inventato apposta per questo film perché Mike Leigh, presidente della Giuria, se ne era innamorato.

Sister ha una trama di quelle che potrebbe uscirne un capolavoro, di quelle che mandano in brodo di giuggiole l’abituale pubblico un po’ “cioè cazzo” (secondo la geniale definizione di un mio amico) di un cinema come l’Anteo a Milano: un dodicenne, orfano e poverissimo che abita in un fondovalle depresso e spelacchiato, ogni giorno prende la funivia per andare in cima alla montagna a derubare i ricconi che vanno lì a sciare. Con quel che guadagna rivendendo sci, occhiali, giacche e caschi di marca riesce a sopravvivere e anche ad aiutare la sorella maggiore, bella e sbandata, che perde lavori con la stessa facilità con cui trova mascalzoni.

Sister è girato bene, con quel realismo malinconico e soffocante che tanto piace nell’Europa franco tedesca, dai Dardenne in poi.
È anche recitato bene, soprattutto da Léa Seydoux, sensuale e struggente insieme.

Sister ha perfino il colpo di scena, che fa ripartire un film che dopo 40 minuti inizia ad arrancare.

Sister tratta dell’amore che non è mai scontato, del contrasto tra i poveri e i ricchi, del perdersi via, di paesaggi sublimi e infernali accostati tra loro, parla di ragazzi e di adulti e anche dell’incomunicabilità.

Sister è un bel film, ben fatto, ben girato, ben interpretato.

Ma è anche uno dei film più deprimenti dell’anno.
Sister scorre lento lento ed è tanto tanto ripetitivo, e questo vabbè, non sempre è un male.
Ma il fatto è che dentro Sister c’è una tristezza tale in ogni inquadratura, in ogni nuovo accadere, in ogni personaggio che quando il film finisce non vedi l’ora di dartela a gambe per andare ad ingoiare finalmente chili di cioccolato o per dedicarti a qualsiasi altra attività in grado di stimolare le poche endorfine agonizzanti che ti sono rimaste in corpo.

Che si sappia.

ps- Curiosità: Sister finisce con la stessa identica scena, ma proprio identica, di un (mediocre per me) film italiano dell’anno scorso. Ed è così ugualissima quella scena che un po’ viene da pensare che sia una citazione. E io ne sono esterefatta.

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